mercoledì 29 febbraio 2012

"Rosa" di Anna Cottini

 

Punteggio 166/250  (6.4 voto)

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- “Stia tranquilla signora, viva i suoi 50 anni con serenità: i suoi ormoni hanno iniziato a farsi guerra, ma è tutto nella norma. Lei non ha nulla di diverso rispetto alle donne della sua età. Le consiglio solo qualche esame di controllo, ed inizierei con un’analisi del sangue completa...” -
- “No, dottore - dissi abbassando lo sguardo - Se è possibile evitare...lo ha detto lei: tutto nella norma. E le garantisco che non ho alcun disturbo...almeno apparente” -
- “Ah, va bene, capisco... - fu il suo commento osservandomi bonariamente dietro agli occhiali spessi come fondi di bicchiere - “Per adesso soprassediamo” -
Dottore, non ha capito un bel niente, pensai; probabilmente nel mio sangue vi sono già tre gruppi sanguigni e nonostante la guerra degli ormoni loro convivono benissimo in pace!
- “Vede, signora, - continuò lui pazientemente - adesso è giunto il momento di cogliere i frutti della vita senza affanni; forse oggi riuscirà a scorgere qualcosa che nel passato si era celato dietro ad una corsa frenetica.” -
Lo so, riflettei, è quasi un anno che ho ceduto ad una pulsione particolare. Dapprima ovattata, poi sempre più forte e quasi violenta; forse, è diventata un vizio più che una inclinazione . Ma lo scopo per il quale sono qui, dottore, e lei non se lo immagina, era proprio per sentirmi dire che tutto è regolare e che se non vi sono particolari disturbi, devo vivere questo tratto di vita con serenità.
Tornai a casa sentendomi quasi una donna normale. Quella sera d’estate mi avvolgeva in un abbraccio afoso e l’asfalto pareva si crepasse, aprendosi in tante minuscole bocche screpolate bisognose di una goccia d’acqua.
Mi coricai nel letto e dal balcone spalancato vidi che la luna si nascondeva dietro ad una nube; si levò una brezza che sapeva d’umidità. Forse l’asfalto aveva tanto gridato che il cielo aveva deciso di concedere un po' di pioggia. Mi allargai nel letto solitario: Gianni se n’era andato già da più di un anno. -”Sei cambiata Rosa. - mi aveva detto - Non sei la donna che ho conosciuto.” - Gianni mi chiese di sposarlo in una trattoria fuori porta e ricordo che aggiunse: - “Ti sposo perché sei una buongustaia!” - Poi si mise a ridere...
Non mi piace sentirmi chiamare con il mio nome. Rosa è il nome che si addice ad una florida contadina. Mi piace invece il fiore, perché ha il ventre gonfio: si nutre della notte e si concede al giorno petalo dopo petalo, con parsimonia, come per trattenere il più possibile i segreti del buio.
- “Ciao Rosa, sono zio Vassilj!” - Quella volta il mio nome arrivò come una carezza. Mi volsi e, seduto sul balcone, stava la figura di un uomo snello, vestito con un abito scuro, con le spalle coperte da un largo mantello. Il volto non lo percepii, ma qualche filo bianco nei capelli pettinati all’indietro lo notai, come notai il suo sorriso bianchissimo.
- “Hai dovuto aspettare che gli ormoni litigassero tra loro per scoprire i tuoi “talenti”, ma ce l’hai fatta e sono contento di te.” -
La brezza si era trasformata in vento forte e udivo le chiome degli alberi del giardino che si agitavano come per afferrare qualcosa che sfuggiva. Improvvisamente, ebbi la sensazione che il sangue scorresse dentro di me ad una velocità impazzita. Avevo caldo, ma non sudavo. Ed il cuore batteva lento, nonostante la mia eccitazione.
- “Vieni, entra!” - Volevo confusamente che quell’uomo giacesse con me: lo sentivo mio ed io mi sentivo sua.
- “Non posso entrare - rispose Vassilj - Io ho finito il mio ciclo di vite. Posso solo stare nell’aria che non è di nessuno. E questo balcone è il mio confine. Nella stanza c’è il tuo respiro, la tua vita; e la vita non mi appartiene più. Tu non sei nella prima, né nell’ultima tua esistenza. Vivi la consapevolezza dei tuoi “talenti”, ma con discrezione; l’hai già capito... La gente la devi osservare come se dovessi sbirciarla da dietro una tenda. Mi piace tuo figlio, sai? Ma penso che non andrò mai a trovarlo.” -
Già....Luca....Lui non ha mai aspettato niente. A 22 anni se n’è andato a New York e a 25 si è sposato con una ragazza figlia di emigranti rumeni. Il suocero, malato di cuore, ha voluto tornare nel suo paese a morire. Hanno ereditato una steakhouse in Times Square e sanno gestirla con successo. L’ultima volta che sono andata a trovarlo, volli salire sull’Empire di notte per vedere dall’alto il pulsare della città. Era come osservare lo scorrere ordinato del sangue nelle vene di un gigante assopito. Ma un gigante senza un cuore. Improvvisamente m’invase il bisogno di tuffarmi in un volo folle. Volevo immergermi ad impossessarmi di un frammento di quel fluire che non mi apparteneva; ma delle alte pareti di vetro sintetico dividevano la mia persona dalla libertà. Incrociai lo sguardo di Luca, che subito fu coperto dalla folla come se si volesse celare dietro ad un sipario.
Ma, in fondo, a New York non c’è molto da fare! Anche la trasgressione è ordinata e deve essere utile a qualcosa. I neri, poi, non mi piacciono. Hanno la pelle spessa e sono grassi: anche l’occhio vuole la sua parte e, come diceva Gianni, io sono una buongustaia! Non sopporto lo stesso odore di cibo, uguale in tutte le strade. Gli americani sono come tante tavolette di plastilina di colore diverso, che un bimbo si diverte ad amalgamare fino a comporre una grossa palla grigiastra. E così il loro sangue: è come uno straccio che lavato tante volte si scolora; e le spezie delle tradizioni sbiadiscono in un hamburger ricoperto di ketchup.
- “Promettono bene quei ragazzi!- continuò Vassilj - Insieme potranno fare grandi cose, ma io non posso andare a trovarli; il viaggio per me è lungo e anche a me non piacciono gli americani. Sono distratti, non si pongono dubbi, vivono di certezze preconfezionate. Io sono un artista d’altri tempi e amo l’odore della vecchia Europa” -
Vassilj se ne andò con l’aiuto di un fulmine che lo portò dall’altra parte della città.
- “Ih ih ih ih.....” - No, non devo ridere così: discrezione, innanzi tutto! Mi riconoscerebbero subito... Ho deciso: domani passerò dall’osteria all’angolo della piazzetta e aspetterò che Lulù, la vecchia prostituta dai capelli rosso carota, prenda tra le mani il suo sesto bicchiere di vino e lasci rotolare dalla bocca sdentata la sua risata: - “Ah ah ah ah....” - Sì, la tua risata sgangherata dà meno nell’occhio e te la ruberò, Lulù. Da domani su quel bicchiere piangerai. Il pianto svuota il corpo e talvolta anche l’anima.
Anche stanotte la città invoca la pioggia ed io sto male. Ho la testa che mi scoppia. Le strade sono quasi deserte. Tra qualche giorno è Ferragosto, ma alla periferia nord, nel quartiere cinese, le piccole fabbriche pullulano di gente laboriosa. I cinesi hanno la pelle fine come la loro seta. E poi è vero che loro mangiano tutto quello che ha 4 zampe, tranne il tavolo e tutto ciò che vola, tranne gli aeroplani. Hanno tanta energia perché si saziano di tutto ciò che vive, di respiri, di polvere....Sono diventati tanti in quel quartiere, che ormai non si contano più...Troppi! Ed è per questo che per nutrirmi della loro “urbanità sotterranea”, esclusiva come l’alveare per le api, userò la scrupolosità di una zanzara e la delicatezza di un colibrì per dissetarmi del loro nettare saporito.
Sono sempre stata orgogliosa del mio sorriso: la perfezione della mia dentatura non la devo a nessun specialista: è un dono naturale. E come al solito sarò tagliente come una lama affilata! Qualcuno è già abituato a vedermi anche se non passo spesso nei loro vicoli. Una sera sentirò la voce di un anziano che mi chiamerà: -”Signora...scusi...”- Al terzo richiamo mi volgerò e non vedrò nessuno. Ma in quel momento il nostro particolare accordo sarà firmato. Loro hanno bisogno di me come io di loro.
Ma adesso sto male; ho sete, le forze mi mancano e questo temporale non ristora la mia fronte febbricitante. Poggerò la schiena sul balcone e con la testa riversa lascerò scorrere la pioggia sul viso fino a che i capelli goccioleranno, illudendomi che un pezzo del mio cuore gonfio se ne vada con quelle gocce.
Quando sarò esausta ed ubriaca dell’argento della notte, mi coricherò e mi assopirò finché sulle mie labbra arse, come una frustata, si poserà il primo raggio di sole.
In autunno volo da Luca, anche se New York non mi manca: è troppo ordinata, settoriale, come i banchi di un supermercato con i cartelli che indicano i corridoi con le varie tipologie di merci. Ma forse ho solamente malinteso quella città.
Ho nostalgia del modo di comunicare con lo sguardo di Luca. E’ strano, a volte mi sento bimba nei confronti di mio figlio: è come se avessi bisogno di imparare qualcosa da lui....ed è come se attendessi, palpitante, un elogio da un maestro: - “Mamma, sei cresciuta! Ora sei un Urban Vampire, come noi. Ce l’hai fatta!” -

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