Marika si guardò allo specchio, ancora ansante dopo la corsa che aveva fatto per entrare in casa. Il suo sguardo si spostò verso la porta; sapeva che erano lì dietro, riusciva a sentire la loro presenza con i suoi sensori alle caviglie. Nessun rumore veniva prodotto, ma lei captava molto di più che semplici suoni: riusciva a sentire l’anima palpitante dei suoi assalitori, la loro adrenalina che scorreva veloce e prepotente nelle vene. Un solo passo falso e per lei sarebbe stata la fine. Corse verso la finestra, l’unica via d’uscita da quel piccolo appartamento di periferia oltre la porta principale. Guardò di sotto e il panico l’assalì. Come poteva farcela a saltare dal terzo piano e rimanere sana e salva? Sentì la foga dei suoi assalitori salire sempre di più e, senza più pensarci, si appoggiò alla finestra e si gettò di sotto. Chiuse gli occhi per non pensare a cosa sarebbe successo, anche se avrebbe preferito di gran lunga morire per essersi schiantata a terra che per mano di quella gentaglia. A un millesimo di secondo dal ruvido e duro asfalto, sentì una forza riprenderla per la schiena. Non si rese conto di ciò che stava succedendo ma, quando iniziò a risalire sempre più in alto, capì: nel momento del bisogno le erano spuntate delle ali che le avevano salvato la vita. Non sapeva bene come usarle, ma non le interessava: era viva e stava volando verso il suo destino. Sì, ma dove atterrare? E, soprattutto, come si faceva a planare con quelle ali attaccate alla schiena. Ci pensò un attimo, poi decise di fare marcia indietro e si ritrovò a viaggiare verso la casa del Professore. L’aria fresca le sbatteva feroce contro il viso, ma non le importava: cercò di accelerare il più possibile per arrivare prima. Dopo un’oretta, capì di essere arrivata a destinazione e, come se avesse da sempre avuto la capacità di usare alla perfezione le sue ali, atterrò davanti all’uscio di casa. Si guardò il polso e vide che l’orologio segnava la mezzanotte, ma sapeva che quello era u caso troppo importante e che non avrebbe potuto aspettare nemmeno un altro secondo. I suoi assalitori erano ormai lontani e lei non poteva sentire più il loro stato d’animo, però poteva immaginare che si erano accorti della sua assenza e che, infuriati per questo, erano decisi a trovarla e…ucciderla. A quel pensiero, Marika si attaccò al campanello. Aspetto un po’ prima di vedere la porta aprirsi: nell’ingresso, fasciato dentro la sua vestaglia di ciniglia verde scuro, con i capelli grigi scompigliati, stava il Professore. La guardò con aria preoccupata e, immaginando che quella visita non potesse portare notizie buone, la fece entrare in casa. Marika si sedette su una poltroncina lì vicina per riposarsi un po’ dopo la stanchezza del volo, stando ben attenta a non schiacciare le sue piccole ali. Anche il Professore si accorse del suo nuovo potere e la ragazza iniziò a raccontargli tutto.
“Sono uscita dal pub dove lavoro e li ho visti: mi stavano aspettando appoggiati ad un lampione, con la sigaretta in bocca e la loro aria spavalda di sempre. Io ho fatto finta di nulla. Ho pensato che, essendo passato parecchio tempo dall’ultima volta che ci eravamo visti, non mi avrebbero riconosciuta. E, invece, non è stato così. Sentivo, grazie ai miei sensori, la loro ansia palpitante crescere sempre più ma da quella distanza ero in grado di ascoltare anche il rumore dei loro passi. Eravamo a meno di un metro di distanza, quando ho girato l’angolo ed ho iniziato a correre il più possibile. Ho corso per tutto il tempo che potevo, quando mi sono resa conto che, ormai stanca, non avrei potuto più resistere a tutto quello sforzo fisico e, sempre correndo a perdifiato, ho preso la strada di casa mia. Sono riuscita a salire fino al mio appartamento, ma mi hanno raggiunta. Mi sono buttata dalla finestra e quando credevo che mi sarei sfracellata a terra mi sono spuntate le ali e sono corsa subito da te!”
“Strano, molto strano…” iniziò il Professore con aria assente-
“Cosa è strano?”
“Non riesco a capire bene la situazione…sei sicura di avermi raccontato tutto?”
“Sì, te l’ho detto: stavo uscendo dal pub e…”
“No, mi riferisco a tutta la storia!”
“Ma certo che ti ho detto tutto! E poi, lo ricordo come se fosse successo oggi… anche quella sera stavo uscendo dal pub, ma non c’era nessuno ad aspettarmi. Mi stavo avviando a piedi verso casa mia, quando ho visto un ragazzino che veniva pestato a sangue da due uomini. Mi sono avvicinata per cercare di fermarli ma, quando ero a pochi passi da loro, ho iniziato a sentire un calore sulle caviglie: solo in seguito mi sono accorta che mi erano spuntati i sensori. Ad ogni modo, dopo aver sentito quel calore, mi resi conto che ero in grado di percepire le sensazioni e gli stadi d’animo degli esseri viventi. Ma c’era qualcosa di strano…non sentivo una persona impaurita e due con l’adrenalina per la rissa: erano tutti e tre…emozionati. Pensai che si erano agitati perché li avevo interrotti, ma come può una donna come me mettere in soggezione due omoni grandi e grossi? Mi accorsi di essere in pericolo ma non riuscivo a muovermi, tanto ero terrorizzata. Chiusi gli occhi e sentii una mano che mi passava una benda intorno agli occhi e poi venni caricata di forza su una macchina. Viaggiammo per un periodo indefinibile e, quando fui slegata, mi ritrovai in un laboratorio. Credetti di avere le allucinazioni: mi sembrava di aver visto il ragazzo che veniva picchiato…ma che ci faceva lui lì? Avevano catturato anche lui? No, quando me ne resi conto fu troppo tardi: mi si avvicinò e mi sorrise. Il suo ghigno mi fece gelare il sangue, ma rabbrividii molto di più quando mi infilò un ago nel braccio. Credevo che mi stesse drogando, ma divenni sempre più lucida. Dopo alcuni minuti mi fecero sdraiare su un tavolo di ferro e mi fecero… quello che loro chiamano “esami”. Sono delle barbarie pure e…oh, non riesco neanche a ripeterlo!”
“Tranquilla. Scusami se ti ho chiesto questa cosa, ma inizia a essere tutto così complicato!”
“Fai bene a voler avere davanti agli occhi un racconto sempre più lucido, ma proprio non riesco a ripetere quello che mi hanno fatto: ho provato un dolore che mai avrei pensato potesse esistere sulla faccia della terra… comunque, dopo diversi dei loro “esami” capirono che c’era qualcosa in me che non andava…il loro sguardo cadde sulle caviglie e sui miei sensori. Con un dito, uno degli uomini toccò il sensore e il mio cervello parve scoppiare: il dolore mi inglobò totalmente e capii che solo io potevo toccare i sensori senza farmi del male. Gridai talmente forte che i miei aguzzini furono per un attimo storditi: poi si ripresero e iniziarono ad analizzare ogni parte di me per riuscire a capire chi ero…o meglio, cosa ero diventata. Mi diedero un potente sedativo per farmi dormire e mi lasciarono insieme al ragazzino per farmi da guardia. Lui si addormentò quasi subito, ma io no: la pillola che mi avevano dato non faceva più effetto sul mio corpo. Silenziosamente, stando ben attenta a ciò che i miei sensori mi indicarono, riuscii a scappare. Per un po’ feci finta di nulla, fino a quando non incontrai lei, Professore.”
“E il resto della storia è cosa nota…però, Marika, c’è una cosa che non sai ancora…vedi, questa sera noi non siamo soli…abbiamo tre ospiti particolari. Non credo che ci sia bisogno di presentazioni, dato che vi conoscete già…”
Terminate quelle parole, da dietro l’angolo sbucarono i suoi tre aguzzini. Anche se era passato del tempo, li riconobbe subito. Come aveva fatto a non capire che erano lì? Perché i suoi sensori non funzionavano? E, soprattutto, che diavolo ci facevano a casa del Professore?
“Vedo che hai uno sguardo un po’ stupito, mia cara…beh, e chi non lo sarebbe al posto tuo? Hai capito chi sono, vero? Però il tuo cervellino non riesce a far quadrare alcune cose…beh, ti risponderò io: questa casa è totalmente isolata e tu non puoi usare i tuoi poteri.”
“Come hanno fatto a entrare senza che me ne accorgessi?! E perché non li manda via?!”
“Sono arrivati prima di te, cara! Io gli ho detto di andare a trovarti davanti al pub; io di seguirti fino a casa; io di metterti paura. Sapevo, dopo gli esperimenti che ti abbiamo fatto fare, che le ali sarebbero spuntate solo in punto di quasi morte o di estrema necessità e ci serviva quel momento! Quando sono entrati a casa tua e non ti hanno trovata, sono corsi qui e ti abbiamo aspettata tutti insieme!”
“Ma…perché?!”
“Non ti sei mai chiesta perché mi faccio chiamare Professore? Io sono un ricercatore, mia cara, e tu sei la parte più importante del mio lavoro! Senza di te, tutto quello che ho studiato negli ultimi tempi andrebbe in fumo, e tu non vuoi che al tuo Professore succeda una cosa del genere, vero? Devi sapere…”
Marika vide le labbra del professore muoversi, ma non si stava concentrando su cosa stava raccontando. Anche se fosse stata attenta avrebbe cercato di ucciderla, quindi tanto valeva trovare una soluzione! Era ancora seduta sulla poltrona. Ripensò che il Professore teneva sempre a portata di mano l’attizzatoio per il fuoco…sarebbe stata in grado di usare una cosa del genere verso i suoi simili? No, non poteva farlo…eppure loro avevano già cercato di ucciderla e l’avrebbero fatto ancora…
“Ma perché tutta quella scena della rissa, un anno fa?”
“Avevamo bisogno di qualcuno di animo nobile e coraggioso, qualcuno che si sarebbe avvicinato vedendo un ragazzino pestato a sangue…lui ha fatto da esca e tu, adesso, farai da cavia!” terminate quelle parole il Professore si avvicinò a Marika con ferocia negli occhi. Cercò di agguantarla ma lei fu più veloce: prese l’attizzatoio e lo brandì davanti ai suoi occhi. La ragazza pensò che, se anche fosse riuscita a liberarsi del Professore, dietro c’erano tre uomini con cui avrebbe dovuto combattere. Allora, decise. In un balzo arrivò all’uscio, aprì la porta e uscì. Volò via, verso la sua nuova vita. Un proiettile le passò vicinissimo, ma lei non poteva più essere colpita: quando il Professore le aveva spiegato la verità in tutta quella situazione, sul collo di Marika erano cresciute due sporgenze. Non sapeva bene come usarle, ma le avevano appena salvato la vita da una pallottola.
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