Un giorno di tarda primavera, nella quinta classe del liceo scientifico, di una delle più belle città della Sicilia, bagnata dal mare, ai piedi del più grande vulcano d’Europa, la professoressa di matematica, Barbara Leonardi, una giovane donna sulla quarantina, con la passione per l’archeologia, di media statura, dal fisico ben messo e dal fascino intricante, resa ancora più accattivante dagli occhiali a punta quasi privi di montatura che indossava durante le sue lezioni, aveva appena finito di spiegare e, come spesso succedeva, dedicava gli ultimi minuti della sua ora di lezione ai racconti delle esperienze vissute nei vari siti archeologici visitati:
«Oggi vi racconterò qualcosa che lascerà tutti a bocca aperta!» esordì Donatella Cognome, mentre i ragazzi si preparavano ad ascoltare con ansia, alcuni immaginando chissà quale tesoro avesse scoperto la prof.
«Tutto accadde la scorsa domenica, in una chiesa di Città dell’Olmo, durante la celebrazione della messa all’improvviso un grosso boato interruppe la funzione. Immaginate il caos più totale: in quella piccola chiesa tutti i presenti cominciarono a muoversi come delle molecole impazzite, a correre in tutte le direzioni per cercare l’uscita più vicina, molti urlavano, i bambini piangevano, il prete cercava di riportare la calma e, temendo qualcosa di molto grave, invitò tutti i fedeli a ritornare nelle proprie abitazioni. Dopo qualche secondo, dalla sacrestia fece il suo ingresso in chiesa il chierico che, bianco di paura in volto e sporco di polvere, gridava al parroco: «di là è caduto il pavimento, è caduto il pavimento!».
I ragazzi ascoltavano già tutti impietriti.
«Il caso volle che io passassi di là proprio in quel momento», continuò la professoressa con il sorriso sulle labbra.
«Fui insospettita da quelle persone che uscivano di fretta dalla chiesa, sembrava scappassero, e così decisi di posteggiare la mia auto e scendere per dare una occhiata dentro quella chiesa. Entrando, capii subito che era successo qualcosa, l’aria era irrespirabile e a mala pena si distinguevano gli arredi, tanta era la polvere che proveniva dalla sacrestia. Così, mi levai il foulard dal collo e, coprendomi la bocca ed il naso, mi avvicinai alla sacrestia; non riuscivo a credere a quello che vedevo: una voragine aveva inghiottito il pavimento dell’intera sacrestia. Ad un tratto la polvere che galleggiava nell’aria venne inspiegabilmente risucchiata all’interno della voragine; in quello stesso momento, si udì un suono cupo simile ad un lamento. Un brivido mi percorse dentro, lungo tutta la schiena, alcuni spaventati a morte se la diedero a gambe» narrò l’insegnante. «Rimanemmo solo in tre: io, il prete e il sacrestano. La curiosità di sapere cosa c’era in fondo a quella voragine divenne sempre più irrefrenabile; dopo che l’aria fu limpida, la visibilità ottima, mi guardai intorno quando, proprio sotto i miei piedi, notai alcuni scalini che portavano proprio all’interno della voragine.»
«Un passaggio segreto!?» Esclamò una delle studentesse.
«Proprio così. Iniziai a scendere quei gradini fin quando mi ritrovai in un corridoio sempre più buio. Il prete fu subito dietro di me, mentre il sacrestano con le gambe ancora tremolanti decise di rimanere in superficie. Più mi addentravo più si faceva buio e umido, fortunatamente la torcia a led che mi procurò il prete era abbastanza potente da illuminare di qualche metro il percorso avanti a noi. Una cosa mi colpì: più ci addentravamo e più i muri mi sembravano pareti di case; dopo pochi passi sulla parete alla nostra destra vidi una porta semi distrutta dalla muffa, cercai di far luce con la torcia verso l’interno e scorsi un tavolo con attorno delle sedie ben ordinate e nel muro di fronte una cucina in pietra con delle pentole sopra, il tutto ricoperto da ragnatele».
«Cosa diceva il prete?» Chiese un ragazzo con aria allegra.
«Recitava il suo Rosario» Rispose a tono la prof., destando le risate dell’intera classe.
«Continuammo ad andare avanti lungo il corridoio, dopo qualche decina di metri improvvisamente una grande apertura ci si presentò davanti, per terra c’erano pezzi di legno consumati dall’umidità e dal tempo. Oltrepassammo quella grande apertura, l’aria si faceva sempre più rarefatta, la puzza di zolfo diventava sempre più fastidiosa per le nostre narici. Alla mia sinistra, attaccata ad una parete, c’era una grande lucerna, con il mio accendi sigari a petrolio cercai di accenderla, tuttavia ciò che vidi dopo non mi piacque per niente. Ci trovavamo in una piazzetta all’interno di una specie di cortile, al centro, attorno ad un’antica colonna semi distrutta, una diecina di scheletri giacevano lì, immersi nel loro sonno eterno. Mi avvicinai, girai attorno a quel che rimaneva di quei corpi senza vita, uno di loro teneva stretto in mano un libro, la cosa mi incuriosì al punto che lentamente cercai con successo di sfilarglielo dalle mani ossee. Tra le pagine del libro trovai la piuma usata per scriverlo, lessi le ultime parole che trovai scritte e non riuscii a capirne il significato; sembrava una di quelle storie inventate, ma spacciate per vere. Decisi che era il momento di andare, presi quel libro e dissi al prete che per ora era meglio andar via; dovevo ritornare giù, ma con gli strumenti giusti ed una squadra specializzata», disse la professoressa, che con energia chiuse la cerniera della sua ventiquattrore e fece per uscire fuori dalla stanza.
«Aspetti» disse uno dei ragazzi, alzandosi dalla sua sedia «Non può lasciarci sulle spine in questo modo, deve finire di raccontarci la storia» continuò il ragazzo, ottenendo l’approvazione di tutti i suoi compagni di classe.
«E va bene, lo farò solo perché non credo a quello che ho letto» disse la Leonardi, avvicinandosi nuovamente alla cattedra sulla quale posò la ventiquattrore dalla quale estrasse un foglietto che lesse ai ragazzi: «Lei adesso è qui, in mezzo a noi, sta danzando con i nostri uomini, con le nostre donne; la musica sembra alimentare il falò attorno al quale noi giriamo, mentre il suo volto ci appare sempre più bello. Dice che da sempre ci osserva da lassù, fin dalla nascita dell’umanità; adesso è scesa tra noi, la sua bellezza ci addolcisce, i suoi movimenti ci incantano; tutti gli anni, sempre in questo stesso giorno, lei prende parte alla nostra festa, ubriacandoci della sua angelica bellezza, le sue carezze ci fanno cadere al suolo privi di sensi; adesso vedo che mi guarda, pian piano si avvicina, i miei occhi non possono che guardare i suoi, sento il petto scoppiare, come se il mio cuore volesse uscir via e andare da lei. Ecco, è a pochi metri da me, mi parla con la sua voce celestiale, non riesco a capire cosa ci fanno tutte queste persone per terra, non sento più la musica suonare, siamo rimasti soli, io e lei. Adesso lei vuole me, solo me, le ho chiesto chi era e mi ha risposto: sono l’angelo luna.» concluse la professoressa, quando puntuale si udì la campana dell’ultima ora suonare.
«Mi raccomando ragazzi studiate sempre la matematica» disse lei, mentre si apprestava ad andare via.
«Wahoo!!» esclamò uno dei ragazzi «Ho ancora la pelle d’oca» continuò rivolgendosi verso i suoi compagni.
«A chi lo dici…» rispose un altro di loro.
Quella stessa sera, Salvatore invitò un paio di amici per far un falò giù in spiaggia e divertirsi un po’, Lucia e Sofia si offrirono di aiutarlo ad organizzare la serata; nelle loro menti era ancora vivo il racconto della professoressa Leonardi, molte erano le domande che avrebbero voluto rivolgere alla professoressa, ma che la campanella non gli consentì di fare, lasciandogli un forte senso di inquietudine.
Mentre erano fuori a raccogliere legna per il falò della sera, Lucia rivolse il suo sguardo verso il cielo che, seppur ancora chiaro, già si stava riempiendo di stelle: la luna era lì, insieme a loro; dopo qualche minuto l’astro cambiò aspetto, sembrò sbiadirsi, sgretolarsi e diventare polvere luminosa, confondendosi tra le stelle.
«Gu-gu-guardate là, pr-prrresto!» disse Lucia, puntando il dito verso il cielo.
La ragazza assistette a bocca aperta al fenomeno che si stava verificando davanti ai propri occhi, ebbe a stento la forza per farfugliare qualche parola. Quando i ragazzi si voltarono, già l’effetto sovrannaturale della luna era svanito e i due videro solo stelle nel cielo. Salvatore e Sofia, però, notarono Lucia, era sconvolta, così decisero di rientrare in casa. Una volta dentro, Salvatore accese la TV: tutte le reti battevano la notizia della scomparsa della luna.
«Visto?» disse Lucia agitata.
In quel momento, i ragazzi sentirono un forte rumore provenire da fuori la finestra, le vetrine tremarono, il vento iniziò a soffiare, sembrava stesse per arrivare un brutto temporale.
«Oh mio Dio!» esclamò Sofia, «E se tutto fosse vero?».
«Ma no, queste cose non possono accadere.» rispose Salvatore, preoccupato dal fatto che fuori le condizioni meteo si stavano mettendo veramente male.
«Andiamo, vi riporto a casa.» continuò, mentre prendeva le chiavi dell’auto dal tavolo.
Una volta dentro la macchina, i tre notarono che le raffiche di vento erano talmente violente da fare oscillare l’auto del padre di Salvatore. Durante tutto il tragitto, le condizioni meteo sembravano peggiorare sempre più; Salvatore cercò, non senza problemi, di accendere l’autoradio: «E dai… parti!» disse lui, quando un urlo di Lucia, seduta dietro, attirò l’attenzione verso la strada, c’era una sagoma ferma al centro della carreggiata. Salvatore cercò di frenare, ma non riuscì ad evitare l’urto, la sagoma ferma al centro della strada fu scaraventata qualche metro più avanti.
«Oh no, cavolo!» esclamò Salvatore che pensò subito di essersi messo in guai seri, mentre scendevano tutti e tre dalla macchina.
«E’ una ragazza!» disse Sofia, che arrivò per prima.
Distesa per terra, immobile e priva di sensi c’era una ragazza, poco più che ventenne, dai capelli bianchi come la neve e dalla pelle rosea, alquanto strana, ma molto attraente. I tre ragazzi cercarono di rianimare la ragazza, Lucia le mise una mano sul viso, cercò di scuoterla un po’, ma nulla da fare. Anche Salvatore si mise a scuotere il corpo della donna e, dopo qualche secondo gli appoggiò un orecchio sul petto.
«Questa è morta!» disse il ragazzo con occhi spalancati e pieni di paura.
«Portiamola subito in ospedale» disse Lucia.
I tre giovani erano disperati, soprattutto Salvatore; Lucia prese il suo cellulare e stava per comporre il numero del pronto soccorso quando la giovane donna mosse la mano e la testa: era viva, ciò rianimò i cuori dei tre ragazzi.
«Ehi, ehi svegliati!» disse Salvatore, aiutando la ragazza ad alzare la testa, lentamente si stava riprendendo. «Non riesco a crederci: potrei mettere la mano sul fuoco e giurare di non avere sentito nessun battito del suo cuore». Ad un tratto la ragazza iniziò ad agitarsi, «Stai calma, è meglio che non ti agiti, potresti avere qualcosa di rotto, ti portiamo subito in ospedale» disse Sofia, cercando di calmare la ragazza che sembrò ascoltare il consiglio.
«No, niente ospedali» disse la ragazza, dall’accento sembrava straniera.
«Potresti avere qualcosa di grave» disse preoccupato Salvatore, mentre la osserva più attentamente.
A primo impatto, i tre giovani non si accorsero di alcuni particolari di quella donna, il bianco dei suoi capelli li aveva colpiti, ma non diedero molta importanza a tale particolari, preoccupati com’erano di averla uccisa. Non appena la donna misteriosa mosse la testa, una ciocca di capelli, spostandosi, mostrò alcuni segni che da dietro l’orecchio le scendevano giù per il collo, tutti li notarono, ma nessuno ne fece parola.
«Allora, ti portiamo a casa mia» disse il ragazzo, mentre con molta delicatezza la sollevava da terra, prendendola tra le braccia. La strana ragazza aveva una lunga veste, anch’essa bianca come i capelli e quasi trasparente. Non appena riprese i sensi, cominciò con il guardarsi un po’ intorno, poi guardò negli occhi di Lucia, poi in quelli di Sofia e, infine, in quelli di Salvatore: le loro anime erano pure e la cosa la stranizzò parecchio, da sempre era convinta che l’uomo capisse solo la distruzione e il disprezzo verso i suoi stessi simili, ma quella sera si dovette ricredere. Salvatore nel frattempo l’aveva adagiata delicatamente sul sedile posteriore della sua auto; Lucia e Sofia decisero di proseguire a piedi, visto che le loro case erano abbastanza vicine, quindi si salutarono e dissero a Salvatore di tenerle informate di qualunque novità.
Giunto a casa, Salvatore prese la ragazza sempre con molta delicatezza e la fece distendere sul morbido divano del salone a piano terra, la coprì con un plaid, tutte quelle attenzioni colpirono molto la donna.
«Perché fai questo per me?» chiese a Salvatore.
«Non’è nel mio stile investire le persone e lasciarle lì a morire» rispose lui.
Questa risposta e il comportamento di quel ragazzo fecero capire alla giovane e misteriosa donna che si era sbagliata sul conto degli uomini, che non tutti erano cattivi.
«Non sapevo che sulla terra ci fossero uomini così gentili!» disse la ragazza.
«Posso dirti che sicuramente ne esistono anche di migliori» rispose il ragazzo, con tono modesto, mentre i suoi occhi si perdevano nell’incantevole sguardo della ragazza.
Anche lei fu molto attratta da Salvatore; tra i due calò il silenzio, i loro occhi si guardavano, i loro corpi si avvicinarono, le loro labbra per un istante si sfiorarono.
«Fermo!» intimò la ragazza a Salvatore, «Non mi è permesso questo» continuò lei prendendo le distanze.
«Che ti succede, sei già impegnata forse?» chiese il ragazzo, per via di quell’improvviso scatto di repulsione che ebbe lei.
«No, non posso spiegartelo, non capiresti» rispose lei.
«Puoi sempre provarci» disse ancora lui.
«No, adesso devo andare» e si alzò di scatto.
«Aspetta, se ho sbagliato perdonami, ti garantisco che le mie intenzioni erano buone» disse lui, per recuperare da quel tentativo di baciarla che sembrò turbarla parecchio.
Quelle parole ammorbidirono ancora di più il cuore di lei e cambiarono del tutto l’opinione che lei aveva degli uomini; la giovane donna accarezzò Salvatore e si recò verso l’uscita.
«Lascia che almeno ti accompagni, la fuori c’è la tempesta» chiese il ragazzo.
«No, non preoccuparti, dove sto andando non puoi accompagnarmi» rispose lei, mentre usciva fuori.
«Non so ancora neanche il tuo nome» disse Salvatore, fermando la sua fuga.
«Luna» rispose lei svoltando all’angolo della casa di Salvatore. Questi si mise a correre per raggiungerla, ma quando arrivò all’angolo della casa non credette ai suoi occhi: la ragazza si librò in aria, dalle spalle le uscirono fuori due grandi ali sottili e bianche come i suoi capelli. Salvatore non ebbe più la forza di reggersi in piedi, tanto era stupefatto per quanto aveva appena visto, così si sedette in un gradino.
~ ◊ ~
«Luna, già di ritorno?» chiese una voce autorevole che rimbombò nell’intero universo.
«Si padre» rispose lei, mentre una lacrima gli solcava il volto.
Nel frattempo, nel buio dell’universo, sfumature chiare davano forma ad un grande salone reale, ove imponenti colone si ergevano verso l’infinito, al centro un’immagine luminosa dialogava con l’angelo sceso sulla terra.
«Hai fatto quello che ti ho ordinato?» chiese ancora la voce.
«Non ho potuto e per questo chiedo perdono» rispose lei, inchinandosi «Non avevo mai visto gli uomini così da vicino come questa sera, non sono tutti malvagi, molti anni fa mi hai fermato per lo stesso motivo, adesso ho visto che ancora molta gente sa amare il suo prossimo» rispose l’angelo Luna, facendo sorridere la voce eterna.
«Essi non hanno rispetto neanche di loro stessi, figuriamoci degli altri. Guarda come trattano il loro mondo, lo sporcano, lo inquinano, combattono fra di loro per futili motivi. Io non li ho creati per questo scopo» disse la voce, alzando un po’ il tono.
«Si, anche io dalla mia posizione, osservandoli dall’alto, non ho visto altro che il male in loro, ma non si può condannarli tutti per colpa di alcuni. Ci sono uomini, donne e bambini buoni e io non posso togliere loro la vita.» disse Luna, piangendo «Già una volta li hai puniti dando loro malattie, dolore e morte» continuò la divinità.
«Non mi era mai successo che uno dei miei angeli si innamorasse di un essere umano» disse la voce autorevole. «Lo ami fino al punto di andare contro il mio volere?» continuò la voce, alzando ancora di più il tono.
«Si, ed è per questo che io oggi lascio il regno immortale degli angeli» disse lei, sfruttando per l’ultima volta i propri poteri angelici, catapultandosi di nuovo sulla terra, in mezzo alle acque, vicino la riva dove si trovava la casa del giovane Salvatore.
«Non osare farmi questo» intimò la voce del supremo.
«Per liberarmi da questo peccato, ti cedo la mia celestiale essenza, padre» disse lei, ponendo le mani aperte l’una di fronte all’altra e convogliando al loro interno tutta l’essenza angelica che possedeva in una sfera di energia che scagliò con un semplice gesto verso il cielo stellato.
«Da oggi voglio essere una di loro» disse infine l’angelo Luna.
complimenti
RispondiEliminaveramente un bel racconto, molto intrigante!
RispondiEliminanon vedo l'ora di leggere l'intero racconto!!
RispondiEliminaChe peccato che questo racconto non abbia vinto! Però vabbé, è anche chiaro che quando un giudice non sa fare il suo lavoro, non lo sa fare e basta! Rosario Runza, non prendertela per il voto, tu sei il vero vincitore (altrimenti noi lettori non ti avremmo dato più di 40 voti per nulla! Saremo tutto, ma di certo non siamo stupidi)!
RispondiEliminaGRAZIE!! per il messaggio, di certo non sono queste le cose che mi scoraggiano, anzi ....
RispondiEliminaTranquilli, nessuno considera stupido nessuno e ci sono dei testi che nemmeno sono entrati in commissione per ovvi motivi. Rosario ci ha messo il cuore e questo non lo negerà mai nessuno. ;-)
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