mercoledì 29 febbraio 2012

"La guerra dei Demoni" di Flavio Firmo


Punteggio 190/250  (7.6 voto)

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Le dita non mollavano la presa. Il collo dell'uomo si tendeva all'estremo cercando di divincolarsi, ma le unghie affilate e sporche di terra stringevano fino a togliere il fiato. Ruotando lo sguardo provò a guardare oltre il dolore che lo opprimeva. La mano che lo teneva bloccato contro l'intonaco del muro era viola e solcata da vene piene di sangue che sembrava voler uscire e infettarlo. L'unghia, giallastra e ricurva, gli stava lacerando i tendini del collo e sentì l'odore della sporcizia entrargli sotto la pelle.
Assenza di pensieri. La forza che lo sovrastava era enorme e il dolore gli impediva di organizzare una strategia. Con la mano destra provò a togliersi dalla presa, ma il contatto con la pelle squamosa del suo aggressore lo fece rabbrividire. Tentò un calcio all'indietro, ma finì nel vuoto. Spostò il peso sulle gambe e cercò il contatto con il corpo dell'avversario, ma non lo trovò. La presa aumentò l'intensità e l'ossigeno smise di arrivare al cervello. Una coltre di nebbia si distese dietro agli occhi e le crepe del muro divennero un colore piatto e uniforme.
Riprese coscienza e si pulì le labbra dal sangue uscito dal naso. Cercò rapidamente traccia del suo aggressore, ma il vicolo era sgombro da ogni presenza. Si passò il palmo della mano sul collo e la osservò sporca di terriccio e frammenti di sangue incrostato.
Non mi sono sognato nulla, pensò rialzandosi. Il dolore alla testa si stava attenuando, ma si accorse di un taglio superficiale sul petto. Ripensò alle modalità dell'agguato, ma l'unico ricordo era legato a quella mano dalle unghie affilate e dalla pelle violacea.
Lentamente e con molta attenzione si diresse verso l'uscita. Un rumore sordo proveniva da dietro l'angolo, si inginocchiò e con l'occhio sinistro scrutò oltre l'ostacolo. La punta del naso, schiacciata contro una protuberanza di cemento, gli acuì il dolore.
Un corpo femminile giaceva a terra come uno straccio bagnato. Le braccia senza vita si abbandonavano sull'asfalto. Non c'era nessuno attorno e l'uomo provò a uscire dal suo nascondiglio quando a due metri da terra si materializzò una figura. Strizzò l'occhio per vedere meglio.
Un avambraccio troncato sopra il gomito terminava con una mano dalle unghie affilate. Il colore violaceo e le vene in rilievo lo fecero sobbalzare. Era la stessa mano che l'aveva aggredito e sbattuto ripetutamente contro il muro. L'arto strinse le dita attorno al collo della donna stesa a terra e la sollevò. Nessuna reazione. Le gambe penzolanti e la testa, incassata tra le spalle, davano al corpo inerme l'aspetto di un impiccato.
I muscoli del braccio si gonfiarono e la donna venne scagliata contro la saracinesca arrugginita di un vecchio negozio abbandonato. L'uomo, da dietro il nascondiglio, affondò una mano nella tasca cercando gli occhiali quando dall'arto fuoriuscì una sostanza viscosa che colò fino a terra. Il liquido verde si solidificò in pochi istanti e prese una forma umana.
Gambe, fianchi, braccia e schiena muscolosa. La pelle viola e squamosa risaltava sullo sfondo dell'intonaco scrostato.
«Vieni fuori Khalam», disse la creatura senza neppure voltarsi verso l'uomo nascosto dietro l'angolo.
Khalam? Io non sono Khalam. Forse ha visto qualcuno, ma non sono io di sicuro. Provò a tornare sui suoi passi indietreggiando sulle ginocchia. Urtò una lattina di birra e il rumore risuonò nel vicolo. Sentì sulla schiena una presa potente che lo spinse fuori dal rifugio, tentò di puntare i piedi per resistere e la gomma sotto le scarpe lasciò un segno nero sull'asfalto. Abbandonò ogni resistenza e si trovò al cospetto della creatura. Da vicino le vene sotto la pelle sembravano solcate da un liquido fosforescente. I muscoli non erano lisci e compatti, ma cosparsi di bitorzoli che cambiavano continuamente posizione sovrapponendosi e lasciando spazio ai tendini sottostanti.
«Hai paura?» Chiese la creatura senza voltarsi.
«Si.» L'uomo non sentì il suono delle parole attraversare lo spazio, ma solo una sensazione di possesso che gli entrò nel cervello.
«Bene, la paura ti terrà vivo»
«Ma io non sono Khalam, hai sbagliato persona.»
L'essere si voltò e puntò i suoi occhi verso l'uomo che rimaneva ancora inginocchiato sotto l'enorme pressione della presa.
«Noi chiamiamo Khalam il vostro popolo. Conosco il tuo nome umano, ma la mia mente fatica a ricordarlo.»
Sottomesso da una forza superiore e con il battito del cuore che gli martellava le orecchie riusciva solo a formulare domande brevi. Mancava il respiro.
«Chi sei?»
Un soffio di vento gelido percorse il vicolo e gettò un foglio di giornale sulla spalla dell'umano. La creatura si irrigidì e piegò la testa all'interno delle spalle assumendo una posizione di allerta.
«Il nome della mia razza è difficile da dire nella vostra lingua. Nei secoli ci hanno chiamato con molti nomi. Quello che tu conosci meglio è Demone, ma il tuo popolo ha sempre sbagliato.»
Il vento divenne ancora più freddo e piccoli cristalli di ghiaccio andarono a schiantarsi contro il volto dell'uomo. Si alzò in piedi e, come raggiunto da una verità che aspettava da tempo, allargò le braccia in segno di resa.
«Demone? Allora questo è l'inferno, oppure la terra è finita e questa è l'apocalisse.»
Dal corpo violaceo della creatura si alzò una sostanza grigia simile a cenere che si depositò sul fondo stradale riscaldando il vicolo.
«Vedi quando dicevo che vi siete sempre sbagliati. La nostra storia è lunga e risale alla creazione di Gaia, la terra. La mia razza domina questo pianeta e molti altri nell'universo, tolleriamo la vostra presenza e quella degli altri animali perchè ci servite da nutrimento»
Il gelo cessò e l'uomo si sfregò il viso cercando di togliere gli ultimi cristalli di ghiaccio che si sciolsero al suolo.
«Nutrimento? Cosa...»
Il Demone richiamò la cenere sul proprio corpo con un verso gutturale e ruotò la testa in varie direzioni alla ricerca di qualcosa.
«Come noi ci nutriamo di voi è complicato da spiegare e ora non ho tempo. Noi siamo i padroni di questo pianeta e non costringermi a mostrarti il mio potere.»
Dalla sua posizione l'uomo non vedeva l'entrata del vicolo. La carcassa di un furgone abbandonato gli precludeva la vista. Provò ad avvicinarsi, ma il terrore della reazione del Demone lo inchiodava alla sua posizione.
«No, non è possibile. Dio ha creato gli uomini e li ha messi sulla terra...»
Nuovamente il vento gelido penetrò nel vicolo, ma altrettanto velocemente la cenere si alzò come un muro impenetrabile.
«Ascoltami bene, non c'è tempo per queste discussioni. Noi Demoni governiamo il pianeta e abbiamo un solo nemico nell'universo. Nella tua lingua di può tradurre come Gelshan, sono entità invisibili ai vostri occhi. Tu vedresti una nube, simile al fumo o alla nebbia. I Gelshan sono creature stupide, non sono dotate di una propria volonta. Invadono un pianeta e lo soffocano. Avvolgono gli abitanti, gli animali e i vegetali. Tutto diventa una nuvola fredda e il Gelshan se ne nutre.»
La mente dell'uomo cominciava a raccogliersi attorno a immagini che conosceva.
«Mi stai dicendo che siamo invasi dagli extraterrestri?»
Il Demone respirò pesantemente, dalle narici uscì una spruzzata umida che sembrò richiamare la cenere verso il corpo.
«Sei molto vicino alla verità. Sono arrivati sul vostro pianeta per ingoiarlo e noi li dobbiamo combattere. Da eoni c'è una guerra, governiamo interi sistemi solari dove non abbiamo mai dovuto subire la loro invasione e su altri siamo in perenne assedio. Ora sono su Gaia e la battaglia è iniziata»
Ormai convinto dalla breve narrazione l'umano si avvicinò al Demone. Il calore umido del corpo gli donava un senso di benessere e, come sottomesso al suo nuovo padrone, chinò il capo.
«Cosa ne sarà di noi?»
L'essere si mosse verso l'entrata del vicolo e l'uomo, senza bisogno di spinte, lo seguì.
«Siete solo spettatori passivi, la nostra vittoria è solo questione di tempo. Come ti dicevo sono entità stupide, ma forti e letali. Il corpo che vedi senza vita è già stato succhiato dal Gelshan. Tornerete alla vostra vita di tutti i giorni, ma lascerete sul campo molte vittime. I vostri governanti diranno che è stata una malattia misteriosa, ci saranno teorie e lunghi dibattiti. Non è importante sapere se capirete la verità, ma la vostra razza sopravviverà perchè noi vinceremo»
Una nuova forza animò le gambe dell'uomo. Sangue fresco e potente gli pulsava nelle vene. Si alzò in posizione eretta, erano anni che non si sentiva così sano e con una missione vitale.
«Cosa posso fare per aiutarti, Demonio»
Una risata profonda risuonò nell'aria e lo spostamento d'aria fece sobbalzare alcuni topi che si stavano avvicinando al corpo senza vita abbandonato a terra.
«Sono un Demone, il Demonio è una vostra invenzione. Ora mettiti fermo sotto quel portico. Vedrai la nebbia avanzare, ma fidati di me. Chiudi gli occhi se hai paura, ma non fuggire. Distruggere un Gelshan è facile con le mie armi, ma se fuggi lo perderò. Sentirai freddo, come il vento di prima. Il Gelshan non ti divora subito e, quando l'avrò distrutto, non rimarrano tracce sul tuo corpo.»
Il gelo arrivò, veloce e avvolgente. I cristalli si formarono immediatamente e l'uomo provò la sensazione di morire congelato. Il Demone alzò la mano e in pochi istanti tutto cessò. Rimase solo una macchia umida sul terreno.
«Complimenti, devi avere qualche sostanza particolarmente interessante per il Gelshan. Non l'avevo mai visto arrivare così velocemente e sono sicuro che ancora non sono molti. Puoi essermi utile per la mia lotta. Insieme cancelleremo ogni traccia di questi esseri dal nostro pianeta.»
Il Demone abbassò il braccio e sulle sue labbra si dipinse un'espressione simile a un sorriso.
«Tanvir è il tuo nome? Faccio molta fatica a ricordare i vostri nomi, per noi siete semplicemente Khalam. Gli abitanti di Gaia. Cercherò di chiamarti Tanvir, così ti fiderai di me.»
L'uomo stava bene, si sentiva come appena uscito da una doccia calda. I muscoli erano carichi di potenza e desiderosi di combattere. Sorrise al Demone.
«Il mio vero nome è difficile da esprimere nella vostra lingua, alcune parti andrebbero perse perchè il vostro udito non è in grado di afferrarle. Puoi chiamarmi Shaytan, il suo significato è molto simile a come mi chiama il mio popolo.»
Tanvir si avvicinò al Demone con cautela, ma fiero di appartenere a un progetto. Mise le mani in tasca e sfiorò con le dita il crocefisso in legno intagliato che gli aveva regalato il priore.
«Non stai aiutando il Demonio, se è questa la tua preoccupazione. La nostra razza non ha nulla a che fare con le vostre credenze religiose. Il fatto che alcuni uomini ci abbiano visto e descritto come creature degli inferi è pura coincidenza. Siamo su Gaia da prima di voi, vi abbiamo visti nascere ed evolvervi. Non ci intromettiamo mai nella vostra vita. Scusa il paragone, ma per noi siete come microbi al microscopio.»
Shaytan fissò per pochi istanti il vecchio furgone arrugginto e questo scomparve lasciando una sottile striscia di cenere sul marciapiede. L'uscita del vicolo ora era visibile e dalla strada confinante si poteva intravedere una luce azzurra, innaturale.
L'umano seguiva il suo padrone senza discutere. Capiva di essere entrato in una dimensione superiore e se voleva capirne qualcosa era obbligato ad ubbidire. Il Demone era già uscito dal vicolo quando Tanvir si affacciò nella strada principale. Un fetore di carne bruciata lo aggredì e dovette ripararsi il volto con un lembo del saio per non soffocare. Rimase per pochi secondi con gli occhi chiusi, ma il rumore sordo che pulsava come un tamburo di stoffa lo costrinse a guardare.
«Stammi vicino, se ti allontani sei perduto.»
Tanvir registrò le parole automaticamente, ma la sua mente faticava ad ascoltare. Una nebbia azzura offuscava la vista e lampi elettrici viola esplodevano nell'aria. Un Demone, simile a Shaytan, ma più basso e tozzo gli passò a pochi centimetri. Sentì il contatto con la pelle squamosa e si ritrasse. Il Demone lo guardò distrattamente e urlò qualcosa in direzione di Shaytan. Si scambiarono rapide occhiate e si alzarono mille voci.
I lampi aumentarono e dalla nebbia uscivano continuamente nuovi Demoni. Alti, bassi, più o meno massicci. Una mano si posò sulla spalla di Tanvir che rimase immobile. Si voltò e riconobbe gli occhi del suo padrone che lo fissavano.
«Benvenuto nel tuo nuovo mondo amico. Questo è il futuro che ti attende.»
Con il braccio disegnò un semicerchio nell'aria. La nebbia azzura si stava diradando e ovunque spuntavano Demoni che urlavano i loro suoni gutturali. Tanvir ricordava quella sensazione, la gioia di una vittoria.
«Questi sono i miei compagni, i tuoi nuovi compagni. Questo è il futuro di Gaia per i prossimi secoli. Questa è la guerra dei Demoni.»

2 commenti:

  1. Scusa ma il racconto non mi è piaciuto del tutto.
    Dopo un inizio interessante mi è sembrato "correre" un po' troppo in fretta verso la fine. E poi (secondo me, naturalmente!) manca della caratteristica fondamentale che deve avere un racconto breve come questo: il finale!
    Sembra più l'introduzione a quella che potrebbe essere un enorme saga dal titolo, appunto, "La guerra dei demoni".

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    1. Sono felice del tuo commento. Ho volutamente dato questo senso di "accelerazione" al testo per immergermi nel punto di vista dell'umano che viene trascinato suo malgrado in questa nuova era. La mancanza di finale è un po' il mio marchio di fabbrica, quasi una scelta stilistica, capisco che possa lasciare sgomenti. Aggiungo che mentre lo scrivevo mi accorgevo che poteva realmente essere l'inizio di un romanzo.

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