mercoledì 29 febbraio 2012

"Adriel" di Cassidy Mccormack



Punteggio 179/250  (7.1 voto)

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Tentare di entrare in quella casa da sola non era la mossa più intelligente che Agata avesse mai fatto. Appena posò la mano sul pomello del portone fu colta da un tremito improvviso. Si spaventò e fece un passo indietro, incerta se continuare quella missione suicida. Non era mai stata una sprovveduta, eppure si apprestava a fare qualcosa di veramente stupido quella mattina.
<< Non fare la codarda.>> si disse, poi tirò su una bella boccata d’aria e prese coraggio. Doveva entrare, fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto. Raccolse quindi la borsa che aveva posato a terra per poter forzare la serratura e aprì la porta. Appena varcò la soglia di casa una folata di vento gelido la travolse, attraversandola da parte a parte. Dovette premersi le mani sulla bocca per soffocare un grido, ma neanche questo la fermò. La casa era maestosa come l’aveva immaginata osservandola dall’esterno. Spesse tende alle ampie finestre impedivano alla luce del sole estivo di invadere le stanze, tanto che l’ambiente risultava gradevolmente fresco in quella mattina afosa di agosto.
Nel frattempo nello studio al piano di sopra un uomo sui trent’anni sedeva a braccia conserte davanti la scrivania di mogano. In attesa. Ci furono un paio di colpi alla porta prima che si aprisse.
Entrò un giovane con i capelli scuri cortissimi e un tatuaggio sul collo << Adriel, abbiamo visite.>>
<< Lo so!>> rispose senza muovere un muscolo.
<< Che cosa devo fare?>>
<< Niente Martin.>>
<< Ma…Adriel…>>
Adirel si portò un dito alle labbra per farlo tacere, e con un cenno del capo gli ordinò di lasciare la stanza. La stava aspettando, dopotutto. Sapeva che sarebbe stata così stolta da andare a cercarlo. Scosse la testa pensando all’incoscienza della ragazza, ma rimase seduto, sempre in attesa.
Agata sentì dei passi venire dal piano di sopra. Il cuore prese a martellarle il petto. Le tremavano le mani mentre frugava nella borsa in cerca di un’arma, ma non aveva nessuna intenzione di darsi per vinta. L’aveva giurato a se stessa: non sarebbe uscita da lì finché non l’avrebbe ucciso con le proprie mani. Iniziò a salire le scale, un gradino per volta, con i sensi in allerta, pronta a scattare all’attacco al minimo movimento e rumore sospetto. Un gradino dopo l’altro. Quella scala sembrava infinita, ma solo perché da un passo al successivo lei faceva trascorrere almeno un minuto.
Una nuova raffica di vento gelido la fece barcollare. Dovette tenersi al corrimano per non perdere l’equilibrio << Ma che diavolo sto facendo.>> mormorò fra sé, poi ricordò perché era lì e la collera le infuse il coraggio di cui aveva bisogno per avanzare. Il primo piano si apriva su un ampio ingresso riccamente arredato. Nessuna finestra, solo due corridoi ai lati opposti della stanza e una porta proprio di fronte a lei, immobile sull’ultimo gradino. Se lo sentiva dentro, era lì che avrebbe trovato la sua vendetta. Avanzò a passo spedito verso la porta dello studio di Adriel. Afferrò la maniglia per aprire, ma qualcosa la afferrò alle spalle e la sbatté con forza contro la parete.
<< Non dovresti essere qui!>> gli sibilò Martin digrignando i denti. I canini aguzzi si allungarono sotto i suoi occhi. << Hai idea del rischio che corri?>>
<< Toglimi le mani di dosso.>> rispose lei di rimando, cercando di liberarsi dalla sua stretta.
<< Vattene!>> ringhiò << Qui non c’è niente per te.>>
Agata si fece sfuggire un ghigno << Oh sì invece.>> e con agilità si liberò il braccio destro e fece scattare un congegno che le lasciò scivolare nella mano un paletto di frassino così appuntito che avrebbe potuto piantarlo nel muro se avesse avuto abbastanza forza. In quel momento però sarebbe stato sufficiente piantarlo nel petto di Martin e per quello non occorreva molta forza. Preso alla sprovvista, Martin alla vista del paletto mollò la presa per arretrare, ma Agata si era già fatta vanti per pugnalarlo. Ci sarebbe anche riuscita se Adriel non l’avesse spinta via un attimo prima che il paletto si conficcasse come burro nel petto d’acciaio del ragazzo. L’urto fu molto violento, e come se non bastasse, Adriel le fu subito addosso, broccandola a terra dopo averle strappato di mano il paletto. I suoi occhi! Dio onnipotente! Erano come mercurio liquido.
<< Non so se essere più arrabbiato per non averti ancora spezzato il collo o per quanto sei stupida a credere di poter venire fin qui da sola e riuscire ad uccidermi.>> disse diabolico.
Agata era terrorizzata e al tempo stesso incredula che al mondo potesse esistere una creatura tanto malvagia quanto perfetta in tutte le sue forme. Il suo sguardo le entrava dentro, le sbirciava nella mente incurante dell’intimità di quel gesto. Sentiva la profondità calda della sua voce scivolarle nelle vene pur senza udirla davvero. Era completamente soggiogata dal suo potere, ma era un potere che non le recava alcun dolore, e questa consapevolezza la lasciò ancora più stordita e incerta.
<< Lasciami!>> riuscì a dire.
<< E perché mai? Sei entrata in casa mia con il chiaro intento di uccidermi. Io non ti devo niente. E soprattutto non osare dare ordini a me. Ringrazia la tua buona sorte piuttosto.>>
<< Sei un vigliacco!>>
<< Ah sì?>> la tirò su con facilità disumana, ma continuando a tenerla stretta per un braccio. Il viso a un soffio dal suo << Avanti, ripetilo!>>
<< Sei un vigliacco!>> disse ancora e tirò fuori quasi dal nulla un altro paletto che gli conficcò con forza nel petto.
Adriel si accasciò a terra e Martin bloccò di nuovo a terra Agata. << Adriel!>> chiamò allarmato vedendolo ansimare a fatica con le mani imbrattate di sangue mentre cercava di sfilarsi il paletto dal petto.
<< Questo davvero non avresti dovuto farlo, piccola insolente.>> riuscì a dire Adriel trascinandosi fino a lei. Prese il posto di Martin su di lei, il sangue che sgorgava rigoglioso sulla t-shirt nuova della ragazza << E brava, Agata. Chi l’avrebbe mai detto? Peccato che i tuoi giocattoli non abbiano effetto su di me.>>
Era terrorizzata, convinta di essere a un passo dalla morte, ma provò a fare la spavalda << Dall’espressione sul tuo volto non si direbbe.>>
<< Insolente e molto… stupida!>> ringhiò. Poi fece un cenno a Martin, che riprese il suo posto, mentre lui si accostava alla parete, premendo la ferita con la mano. Soffriva molto, era evidente, ma non avrebbe permesso che lei godesse di quel dolore. << Portala via.>> ordinò << Levamela da davanti prima che non risponda più di me.>>
<< Avanti, fallo!>> gridò lei << Uccidimi. Continua quello che hai cominciato. Uccidici tutti.>>
<< Sta zitta!>> la ammonì Martin.
<< NO! Non sto scherzano… Adriel.>> pronunciò quel nome con tutto il disprezzo di cui era capace << uccidimi…subito, perché se non lo farai sarò io ad uccidere te. In un modo o nell’altro, riuscirò a farlo. E non avrò pace finché non te l’avrò fatta pagare per tutto il male che mi hai fatto.>>
<< Potala via!>> ripeté Adriel. Per quella mattina aveva sentito abbastanza.

La ferita era molto profonda. Il frassino era l’unico elemento in grado di scalfire il suo corpo immortale. Non poteva dargli la morte, questo è sicuro, magari fosse stato così facile ucciderlo, liberarlo da quella maledizione divina, ma poteva ferirlo, indebolirlo, e quella pugnalata era stata la peggiore che avesse mai ricevuto. Sarebbe guarito, e in fretta, eppure nessuno mai avrebbe più potuto cancellare il dolore derivato da quel gesto insulso.
La porta della sua camera da letto era aperta, ma Martin busso comunque per palesare la sua presenza. << Hai bisogno di qualcosa?>>
Adriel, disteso sulletto, scosse la testa << Dov’è Agata?>>
<< Nel sotterraneo>>
<< Sta…>>
<< Sta bene. Parla solo un po’ troppo. Ha una lingua alquanto velenosa.>>
Si fece sfuggire un sorriso << Lo so.>>
<< Adriel…>> non sapeva come dirglielo << hai sentito quello che ha detto. Non si fermerà finché non ci avrà eliminati. Stava per uccidermi stamattina ed è riuscita a ferire te. Dobbiamo prendere provvedimenti.>>
<< Me ne occuperò io.>>
<< Se fosse successo a me,>> gli indicò la ferita sul petto << adesso non saremmo qui a parlarne.>>
<< Ti ho detto che me ne occuperò io.>> rispose un po’ stizzito.
<< La ucciderai?>> riuscì a chiedere tutto d’un fiato.
Adriel lo guardò. Non c’era rancore nei suoi occhi, solo una forte solennità che valse più di millenni di risposte.
Martin capì che era il momento di tacere e si congedò con un cenno d’inchino, lasciando Adriel da solo con i suoi pensieri.
<< Uriel!>> sussurrò Adriel sfiorandosi la ferita.
C’era un cellulare sul comodino, iniziò a squillare. Il display diceva “Manuel”. Stava per rispondere, ma ebbe un ripensamento. Afferrò il cellulare e lo scagliò contro la parete mandandolo in pezzi.
Un istante dopo, Martin fu sulla soglia. << Va tutto bene?>>
<< Dammi una mano ad alzarmi.>>
<< Dove vuoi andare? Sei ancora troppo debole. Aspetta almeno il tramonto.>>
<< Aiutami a scendere nel sotterraneo.>>
Martin lo guardò perplesso << Ma sei sicuro? Non credi che...>>
<< Non discutere i miei ordini!>> vociò.
<< Sì Signore.>>
<< E dopo torna su a dare una ripulita qui dentro.>>
<< Sì Signore.>> lo aiutò a mettersi in piedi. Si teneva in equilibrio appena << Perché non si è ancora rimarginata?>>
<< Me l’ha infilato dritto nel cuore. Non posso morire Martin, ma più la ferita è vicina al cuore e più tempo impiega a guarire.>>
<< Non voglio discutere con te, ma… non credo sia prudente per te affrontarla adesso.>>
<< Non corro alcun pericolo.>>
<< Promettimi che non ti avvicinerai a lei. Promettimi che starai attento. Quella ragazza…>> si fermò.
<< Cosa? Continua.>> chiese tranquillo.
<< I suoi occhi… c’è qualcosa in lei, qualcosa di oscuro.>> scosse un po’ la testa per scrollare via quel pensiero << Promettimi solo che farai attenzione.>>
<< Starò attento. Adesso però, accompagnami da lei.>>

Le catene ai polsi erano più strette del necessario. Agata aveva smesso di provare a liberarsene alla vista delle prime gocce di sangue sulle braccia. Se ne stava ora seduta, ginocchia al petto, contro la parete di massi della sua prigione. Non c’erano sbarre o mura a delimitare la sua cella, segno evidente che i prigionieri lì non sostavano a lungo dopo la cattura.
Adriel non si fece scortare fin dentro i sotterranei. Non voleva che lo vedesse così debole da non riuscire a scendere da solo. Al contrario, voleva che lo vedesse, voleva che si arrendesse all’idea di non poter averla vinta con lui. Prima si sarebbe abituata a questo e prima avrebbe potuto lasciarla libera di tornare alla sua vita.
<< Ti trovo bene.>> lo beffeggiò lei vedendolo avanzare a fatica verso di lei.
<< Attenta a quello che dici, ragazzina. Non mi provocare.>> c’era una panchina scavata nella roccia viva di fronte a lei, abbastanza lontana da non poter essere raggiunta dalle catene che la imprigionavano, ma Adriel si sedette a terra sul pavimento umido, accanto a lei, solo un po’ più distante. Se avesse voluto avrebbe potuto facilmente raggiungerlo e provare ad aggredirlo, per quanto in suo potere, ma non sembrò importargli più di tanto.
<< Il tuo schiavetto non mi ha perquisita.>> disse Agata, tirando fuori un paletto di frassino da dietro la schiena.
<< Lo so. E Martin non è lo schiavo di nesuno.>>
<< Non mi sembri molto in forma. Sei sicuro che riusciresti a sopravvivere a un altro di questi?>> sfiorò la punta del paletto con le dita, fissandolo dritto negli occhi.
<< Non puoi uccidermi, Agata.>>
<< Ma posso farti soffrire. Cercherò di farmelo bastare.>>
La guardò << Non lo farai.>>
<< Oh sì che lo farò.>>
<< No. Non lo farai.>>
<< Vuoi che te lo dimostri?>> e si mise in piedi, ma Adriel non si mosse. Fece un passo verso di lui, un altro passo e un altro ancora. Gli si inginocchiò di fronte. Occhi negli occhi. C’era tutto un mondo in quegli occhi, un mondo fatto di sangue << Che cosa sei tu?>> riuscì a chiedere in un bisbiglio.
<< Io sono Dolore!>> rispose dopo un momento di esitazione.
Rimase qualche istante senza fiato a quelle parole, poi aggiunse piano << Hai ucciso la mia famiglia.>>
<< Sì!>>
Quella confessione, pronunciata con tale noncuranza le si conficco nella carne come una lama rovente. << Perché?>> riuscì a chiedere reprimendo a stento le lacrime. Non avrebbe pianto, non davanti a lui.
<< Non sei qui per avere delle risposte.>>
<< Dimmelo!>> gridò afferrandolo per le spalle.
Nell’istante stesso in cui lo toccò, Martin le fu addosso per impedire che lo colpisse di nuovo. La trascinò via a distanza di sicurezza, strappandole via di mano anche l’ultimo paletto in suo possesso. << Stai davvero iniziando a stancarmi adesso.>> la rimproverò.
Nel frattempo Adriel si era rimesso in piedi, limitandosi a guardare.
<< Ho il diritto di sapere perché hai ucciso loro e risparmiato me.>> gridava lei fra le lacrime, stretta nella morsa di Martin << Perché non mi hai uccisa? Perché devi farmi vivere con questo strazio tutta la vita?>>
<< Martin falla tacere.>>
<< Uccidimi Adriel, uccidimi o dammi almeno l’illusione di poter vendicare il sangue della mia famiglia. Me lo devi questo.>> singhiozzava senza controllo.
<< Martin?>>
<< Che cosa ti ho fatto, Adriel. Perché mi hai fatto questo, perché mi hai tradita così, io mi fidavo di te. Io… credevo fossi mio amico.>>
A quelle parole Martin le mise una mano sulla bocca per farla tacere.
Adriel dava loro le spalle, immobile come una statua. Non voleva sentire, non voleva dover continuare a sentire. Poteva accettare il suo odio, vi era abituato, ma per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a sopravvivere a tutto questo. Nessuno vide la lacrima che gli solcò il viso, nessuno percepì il tremito convulso del suo cuore, ma lui poté udire, e percepire il dolore straziante di lei che si dibatteva ancora fra le braccia di Martin in attesa di nient’altro che una risposta, una risposta che non ottenne e che non avrebbe mai ottenuto.

Dalla finestra della sua camera da letto, Adriel osservava la città ai piedi della collina. Appariva vasta e luminosa al chiaro di luna.
<< Non comparire come uno spettro, Manuel, lo so che sei dietro di me.>>
<< Non ho bisogno di nascondermi. Non da te.>>
Si voltò << Allora fatti avanti.>>
<< Lei dov’è?>>
<< Sta bene. È ancora viva se è questo che vuoi sapere.>>
Con una velocità impressionante, Manuel gli fu addosso, immobilizzandolo contro la vetrata << Non erano questi i piani.>>
Adriel se lo tolse di dosso con uno strattone << Se avessimo seguito i tuoi di piani, a quest’ora sarebbe morta.>> si adirò.
<< Non era necessario ucciderli davanti a lei, potevi essere più discreto e risparmiarle una sofferenza inutile. Sarà distrutta.>>
<< Sì, lo è. E tu invece dov’eri mentre avresti dovuto tenerla occupata?>>
<< Non è questo il punto.>>
<< È proprio questo il punto, Manuel. Tu non volevi sporcarti le mani, non volevi che lei sapesse che sei dentro questa storia quanto me. Beh, ti dirò una cosa. Non affannarti tanto questa volta, perché le carte in gioco stanno per cambiare, una volta per tutte.>>
Manuel si mise sulla difensiva << Che cosa hai intenzione di fare?>>
<< Voglio trasformarla?>>
<<Che cosa?>> gli fu di nuovo addosso, rabbioso, gli occhi in fiamme << Non oserai.>>
<< Vuoi scommettere?>>
<< Non te lo permetterò.>>
Adriel lo afferrò per la gola, sollevandolo da terra << Lei è mia! È sempre stata mia!>> poi lo scaraventò via mandandolo a sbattere contro la libreria sulla parete, che andò in frantumi disseminando a terra i preziosi volumi antichi che custodiva << Sono stufo di doverla dividere con te.>>
<< Allora dille la verità e lascia che sia lei a decidere.>>
<< Decidere? Sceglierà me, Manuel, alla fine sceglie sempre me e per quanto tutto ciò possa risultarti mostruoso, lei continuerà a scegliere me, una vita dopo l’altra. Quindi fatti da parte.>>
Fra i vecchi volumi rilegati, Manuel ne raccolse uno diverso dagli altri. Un vecchio diario di Uriel. L’aveva scritto vent’anni prima. L’ultima volta che erano stati tutti e tre insieme, lei era stata uccisa. Era così tutte le volte. Era la loro maledizione. E fino quando Adriel non si fosse deciso a dannarle l’anima, trasformandola nel mostro sanguinario che era, lei sarebbe stata condannata a rinascere e morire sempre in un nuovo corpo mortale per l’eternità e per l’eternità costretta a fuggire da Lui, Sataniel, che avrebbe gettato il mondo intero tra le fiamme dell’inferno pur di averla tutta per sé.
Costretti ad amarsi per l’eternità e per l’eternità perdersi per poi ritrovarsi. Ancora e ancora.
<< Voglio mettere fine alla maledizione, Manuel. Non mi aspetto che tu capisca. So che la ami tanto quanto la amo io e so che lei ti ama e ti amerà sempre, ma non possiamo andare avanti così. Ho impiegato vent’anni a ritrovarla e quella notte giurai a me stesso che non avrei più concesso a nessuno di farla soffrire. Quella è stata l’ultima volta che me la sono vista morire fra le braccia. L’ultima, Manuel. Ora tu puoi essere con me e aiutarmi a liberarla da questo ciclo di morte, oppure opporti e provare a fermarmi, ma sappi che in un modo o nell’altro, io riuscirò a sciogliere la sua condanna. Con o senza il tuo aiuto.>>
Il respiro affannoso di Manuel tradiva lo stato di totale confusione in cui versava in quel momento. Non era una decisione da poco, la sua. Gli veniva chiesto un sacrificio che andava al di là di ogni possibile ricompensa. La sua anima, in combutta con il suo cuore, reclamava giustizia, ma quale sarebbe stato il prezzo da pagare?
<< Se scioglierai la maledizione… Adriel, che ne sarà di lei? Come riuscirai ad impedire che Sataniel le faccia del male? Se riuscirà a mettere le mani su di lei, se riuscirà ad ucciderla, sarà morta per sempre. Sei davvero disposto a sacrificare la sua anima? Vuoi davvero relegarla alle fiamme dell’inferno per l’eternità solo perché tu sei stanco di tutto questo?>>
Adriel si lasciò cadere a terra in ginocchio, si portò le mani alle tempie per scacciare via quel pensiero straziante dalla mente e fra le lacrime rispose << Che io sia Maledetto se dico il falso! Sì, Manuel, sì, sono disposto a tutto pur di non vederla più soffrire come quel giorno.>>
Seguì un lunghissimo silenzio fra i due. Fu Manuel a romperlo per primo << Allora d’accordo!>> disse risoluto << Facciamolo!>>

1 commento:

  1. Il nesso logico nel racconto c'è. Magari presta un pò di più attenzione alla punteggiatura.

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