mercoledì 29 febbraio 2012

"Quella sera la luna era alta nel cielo" di Fabio Carollo



Punteggio 154/250  (6.1 voto)

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Quella sera La luna era alta nel cielo, un disco pallido che irradiava fascino e mistero. Regina, seduta nella penombra argentata guardava il suo plenilunio, lasciandosi avvolgere ogni volta da una strana sensazione come se fosse stata partorita da una sua marea.
Percepiva le sue onde magnetiche che la trasportavano in tempi lontani e segreti popolati da Inquisitori e streghe
Un mondo di magia che la faceva tremare come quel sogno ricorrente quando la Luna era nella sua pienezza e nel suo splendore.
Si vedeva nella notte buia inseguita , catturata e messa al rogo. Un viso d’uomo di bellezza straordinaria l’accusava di stregoneria condannandola. Quel volto le appariva ogni volta che la Luna compiva il suo ciclo. Seppure temeva di chiudere gli occhi per non ritrovare quel terrore che le fiamme sprigionavano dalla pira accatastata nella piazza sconosciuta, da un lato voleva rivederlo sognandolo, quegli occhi l’avevano sottomessa al suo volere . Sentiva vibrazioni potenti, anche nel suo sonno agitato, come se lui le inviasse un messaggio che non riusciva ad interpretare.


Era l'alba, quando le lingue di fuoco calde e minacciose del suo sogno la stavano avvolgendo, splanco' gli occhi dal terrore e istintivamente guardo' il suo corpo. Nessuna bruciatura deturpava la sua pelle “ il biondo” come lei chiamava il viso che intravvedeva al di la' del fuoco anche questa volta non l'aveva avuta. I giorni della Merla quest'anno erano piu' freddi del solito. Sguscio' dalle coperte e si alzo' infilandosi nella cabina doccia non prima di aver data un ulteriore occhiata al suo corpo. Il suo colore quasi bronzeo era sempre stato una sua particolarita', gli uomini nei quali era inciampata l'avevano spesso sottolineato. L'acqua ora scorreva calda riscaldandola ma dentro di lei il freddo era glaciale. Si sentiva sola come un fiore primiparo sotto una coltre di neve. Voleva tornare ad essere felice voleva amare ed essere amata. Decise che occorreva staccare, lasciare la casa con i suoi ricordi e uscire seguendo l'istinto senza preclusioni. Dopo una colazione a base di the' e due fette di pane e burro si concesse ancora una piccola sosta in bagno per il trucco, infine prese la borsa e le chiavi della sua auto, un vecchio modello appartenuta alla madre professoressa di educazione fisica,chiuse per bene la porta e mormoro' ad alta voce “non aspettarmi...”
Regina voleva essere amata, sorridere e sentirsi felice come solo chi ama ne possiede il segreto., così decise in fretta, ebbene quella sarebbe stata una mattinata di liberta' Si mise al volante dell'auto e come se seguisse un filo invisibile si lasciò trasportare, percorrendo incrocio dopo incrocio semaforo dopo semaforo sino all'uscita di una curva che la portava fuori citta'.
Pian piano assaporava quel senso di liberta', si fermo' solo cinque minuti per fare rifornimento ad un distributore per poi riprendere la guida con l'immagine del biondo che aleggiava nel suo pensiero. Non aveva navigatore satellitare ne cartina stradale ma sapeva inconsciamente dove andare.


Si era sempre fidata del suo istinto, fin da bambina aveva capito che era come un’arma intima, percepiva lo stato d’animo delle persone con cui veniva a contatto. Mentre guidava spedita attraverso stradine e paesi sconosciuti sentiva il cuore che man mano diventava sempre più battente e si ritrovò senza sapere come in una piazza dall’aria vagamente familiare.
Il suo sguardo fu colpito da una targa che troneggiava in bella mostra al centro della stessa.
“Castel le Rune “ offre confort pace e suggestive sensazioni tra le sue antiche mura del XVII secolo”.
Era come una forte attrazione, quel piccolo borgo seicentesco sprigionava un richiamo quasi ancestrale. Parcheggiò l’auto per chiedere informazioni ad una giovane donna dai capelli corvini e lo sguardo nero come la pece, eppure appena avvicinatosi la riconobbe quasi fosse sempre stata nella sua vita. “Buongiorno, cerco un Hotel per passare la notte saprebbe indicarmene uno per cortesia” Di rimando l’altra rispose sorridendo “Buongiorno a Lei, è fortunata io gestisco un Hotel a pochi passi da qui, se desidera posso accompagnarla”. A Regina non parve vero “Certo la ringrazio infinitamente”.
Si incamminarono attraversando vie di una bellezza straordinaria con piccoli negozi dal gusto squisito, si sentiva a casa ed ebbe come un senso di “deja vu” pensò “Sì, sono sicura che qui succederà qualche cosa di veramente straordinario”
L’Hotel si presentava con una facciata splendida completamente ristrutturata seppure mantenendo le caratteristiche del passato, in mezzo a quella neve candida si districava un vialetto con alberi e siepi sporcate di bianco anche il nome ben si intonava al resto “La Mandragora ”.


La giovane donna che la precedeva, prima di entrare, si giro' sorridendole e con un gesto della mano la invito' ad entrare.
Regina guardava rapita gli arredi della hall, non erano sfarzosi ma cosi eleganti ed accoglienti, un piacere per gli occhi. “La su camera è la 103, ha un balconcino sul giardino ed un’ottima vista del parco vicino alla piazza , ecco la chiave, secondo piano, io sono Giada, qualsiasi cosa chiami pure”
Al fianco di Regina si materializzo' un giovane che con modo gentile prese la sua borsa da viaggio e precedendola la guido' verso l'ascensore .Entrando Regina senti un intenso profumo di eau de toilette da uomo che le ricordava vagamente un assistente di volo con il quale era uscita una sera a cena
Il giovane non era molto loquace ma la cosa non aveva importanza ,al suono di una melodia giunsero al piano,uscirono e dopo pochi passi si ritrovarono davanti alla porta mentre il giovane apriva Regina osservava la chiave decisamente piu' grande delle solite. Il portachiavi era strano, un ferro di cavallo con borchie turchesi notò anche che dietro la nuca il giovane aveva uno strano tatuaggio.


Ne rimase molto colpita, osservandolo meglio vide che rappresentava un triangolo con il vertice verso il basso e che una retta lo segmentava appena al di sopra. Fu sorpresa, anche lei ne possedeva uno simile, un triangolo con la base rivolta verso l’alto. Se lo era fatto tatuare dopo aver sognato che nuotava felice nelle acque di un’isola a forma triangolare, quel sogno l’aveva rasserenata per parecchio tempo, l’acqua infatti da sempre sentiva che era il suo elemento naturale. Adorava il mare, le sue onde smosse dal vento trasparente, il blu oltre il mare d’abisso. Quel giorno decise che doveva portare sulla sua pelle un simbolo che la racchiudesse ed il triangolo, come la sua isola, lo era. La voce del giovane la distolse dai suoi pensieri.
“Prego Signora entri pure, queste sono le chiavi, per ogni cosa di cui abbia bisogno io sono a sua disposizione, mi chiamo Gabriel. La cena sarà servita alle 20,00. Buona permanenza”.
La stanza era di ottimo gusto, un letto a baldacchino troneggiava al centro della parete laterale,
ed occhieggiava un camino scoppiettante e allegro, una porta-finestra con tende di bisso ricamate a mano s’affacciava su uno splendido giardino innevato. Era giovedì, il posto era meraviglioso, si respirava un’aria di antichi sapori, decise che si sarebbe concessa tutto il weekend.


Regina non era l’unica ospite alla “Mandragora” c’era anche Sergio, avvocato rampante del foro romano che cercava di smaltire lo stress accumulato nell’ultimo processo. La sua cliente, una donna dal passato burrascoso accusata di aver dato fuoco al marito e al suo yacht per impossessarsi della polizza assicurativa sulla vita. Era stato un processo difficile ma era riuscito a farla assolvere per mancanza di prove, a suo carico c’erano solo elementi probatori. Da giorni Sergio dopo il processo, sentiva come se quel fuoco fosse stato appiccato su di sé. Fin da ragazzo l’aveva rincorso con le sue fiamme , suo padre era morto carbonizzato sul lavoro per uno scoppio della centrale termica nel reparto di cui lui era il sorvegliante. C’erano state molte polemiche, il reparto non aveva le adeguate sicurezze di legge e l’indennizzo, anche se sostanzioso e gli aveva permesso di laurearsi, non aveva riportato in vita suo padre. Poi ci fu quella volta in cui ad una festa tra matricole universitarie si era sviluppato un incendio nello scantinato dove si erano riuniti, per fortuna se l’era cavata con bruciature guaribili in poche settimane. Fu da lì che si fece tatuare il simbolo del fuoco, un triangolo con il vertice verso l’alto, forse lo fece per esorcizzare le fiamme che sembravano perseguitarlo .


Sentì la porta chiudersi alle sue spalle mentre si avvicinava ai vetri attratta dal bagliore del manto soffice della neve. Socchiuse le imposte e l'aria fresca l'avvolse in un abbraccio a cui era preparata da sempre. Guardo' la serie di alberi da giardino di vario tipo dove in un angolo faceva bella mostra di se una pianta dalle foglie larghe e rosse un po' smangiate ai lati ma dalle punte prominenti. In quel punto in piena luce e con il candore della neve era uno spettacolo della natura. quindi in ritardo noto' l'uomo che camminava piano nel giardino.
Lentamente strusciava i piedi con il capo chino, giunto vicino alla pianta rossa si arresto' e di scatto alzo' il viso e i suoi occhi grigi quasi opachi si illuminarono.
Regina rientrò facendo un passo indietro senza distogliere lo sguardo e vide che nella mano sinistra l'uomo stringeva un foglio.
Lui dopo aver incrociato il suo sguardo avanzo' rapidamente verso l'uscita del giardino.
Decise allora di concedersi una bella doccia calda, incomincio a disfare la sua borsa da viaggio e mentre entrava e usciva dal bagno senti' un fruscio provenire dalla porta e vide un foglio immacolato sotto la soglia. Con cautela si avvicino' ,lo prese tra le mani e lo lesse d'un fiato. L’enunciato era “LA DICHIARAZIONE D'AMORE”


”Amore mio una mattina d'estate quando il sole era appena nato ho dovuto fare i conti con il presente ed il passato, leggendo tra le righe ti confesso non avrei mai pensato di soffrire così tanto e in quel momento il mio cuore s'è come bruciato con le sterpaglie lassu' in montagna....
Non riuscivo piu' a pensare, sentivo solo il dolore del nostro amore che andava in frantumi .
Non ho capito,non ho ascoltato e le cose tra noi non andavano piu' bene
Amore mio sono uscito dalla porta non respiravo piu', non riuscivo a camminare,non sapevo a chi aggrapparmi o dove andare,.pensavo solo che mi hai mentito, l'hai baciato e in quel momento tutto è finito.
Ho camminato,ho camminato, ho camminato e poi il telefono è squillato ed io sono tornato da te,
abbiamo parlato piano e fatto l'amore come mai e ho capito che dovevo far qualcosa per salvare davvero il nostro Amore.
Amore mio mi sono guardato allo specchio e nei miei occhi ho visto solo te, cambiero', lottero', m'impegnero', t'amero' come mai ho fatto fin ad oggi. perchè ti voglio bene veramente fino in fondo.”
Terminata la lettura il foglio si animo' sfuggendole dalle mani, le parole si staccarono vorticando nella stanza come coriandoli spazzati dal vento .Regina non era impaurita ma solo incuriosita seguiva quello strano foglio che ora svolazzava..
Le lettere grandi o piccole che fossero ricoprirono tutti gli arredi della stanza e le pareti sembravano le pagine di un libro sconosciuto. noto' con freddo distacco che sul muro della testata del letto alcune lettere ruotavano in circolo veloci invadendo l’aria di un profumo dolcissimo di gelsomino . La trottola delle lettere rallento' la sua corsa fino a fermarsi del tutto e solo allora ebbe un sussulto. componevano un nome “Hegidius”. Fu presa da un tremito alle mani poi alle braccia poi il resto del corpo, non riusciva a fermarsi anzi il tremore diveniva sempre piu' forte. Ormai il suo corpo era in posizione fetale e vibrava tutto. In quel momento preciso Regina percepì un suono metallico molto forte poi altri d’ intensita' minore e nella stanza era calato il buio. Intirizzita dal gelo, in preda al terrore che la lasciava senza fiato le parve di sentire delle urla, parole incomprensibili e raccapriccianti. Infine uno schiocco fortissimo tuonò e Regina perse il contatto con il suo corpo nell’oscurità che divenne impenetrabile. Non avvertiva ne paura ne freddo solo un silenzio totale l’ avvolgeva in modo completo.


Egrina era stesa sulla nuda terra, da quanto tempo fossi lì non lo sapeva, il gelo le entrava attraverso ogni poro della pelle, ad occhi chiusi percepiva i rumori del vento che con folate costanti le sferzavano il viso. Forse erano passati soltanto tre giorni da quando era stata portata via dalla sua casa al limitare del bosco, ricordava ancora la sua inutile fuga per scappare ai cani e alle guardie che la braccavano. Perché Giores le aveva fatto questo? Perchè dopo essersi amati l'aveva tacciata di stregoneria facendola condannare?. Il loro incontro risaliva soltanto a pochi giorni prima. Ricordava ancora quella sera che Hugo, suo fratello , le aveva portato quell'uomo con una ferita da taglio profonda sul petto quasi vicino al cuore. Le sue parole erano state "Egrina devi curarlo con le tue erbe, lui viene dalla città e i mediconi che ha consultato non sono riusciti nel loro intento, stai attenta è un uomo molto potente nonostante la sua giovane età. Ha sentito parlare di te dalla sua cameriera personale che le ha raccontato la tua bravura di curare con le erbe. Arriverà in incognito questa sera nella piazza del paese accompagnato dalla sua guardia del corpo ed io ho il compito di condurlo da te".
Si erano presentati alla sua porta verso le due di notte, rammentava bene quella notte di inizio plenilunio. Eppure la sua sensibilità l'avrebbe dovuta aiutare, mentre li stava aspettando guardava la Luna ed una macchia scura proprio al centro di essa l'aveva fatta rabbrividire, era un segnale di cattivo presagio.
Egrina sapeva che le origine celtiche di sua madre le avevano trasmesso la magia, “il dono” come lo chiamava Lei, di manipolare le erbe,consultare le rune a proprio vantaggio e qualcosa di più. Le semplici foglie o infiorescenze delicate potevano trasformarsi in armi potenti per chi ne capiva il linguaggio. “la natura basta a sé stessa” diceva Fiammetta “e può essere prodiga nel suo dare”. Fin da bambina l’aveva condotta con sé nel bosco insegnandole ogni segreto ripetendo parole strane che desiderava imparasse a memoria ogni volta ma sempre dicendole che quel loro dono doveva essere usato nel bene e mai al contrario altrimenti la natura si sarebbe ribellata vendicandosi.
Solo da poco tempo Egrina aveva scoperto di possedere quel qualcosa in più a cui faceva riferimento sua madre. Era successo qualche mese prima in una limpida giornata d’agosto mentre scendeva in paese. Ricordava ancora la paura che l’aveva assalita quando quei due briganti volevano derubarla dei pochi averi e delle sue erbe trasformate in oli profumati e unguenti. Fu un attimo, in cui si sentì perduta e temette per la propria vita, la tensione fortissima le fece raccogliere le forze e non seppe come iniziò a pronunciare parole strane in una lingua arcaica che da sempre le era appartenuta. “Oh madre Luna, guarda questa tua figlia, non permetterle di soccombere senza la tua forza,dammi il potere della notte” . All’improvviso tutto si oscurò e i suoi occhi iniziarono a mandare lampi dallo sguardo che s’abbatterono su un grosso tronco lì vicino. Spaventati i briganti si diedero alla fuga. Quell’episodio che mai fino ad allora si era verificato le fece decidere di consultare molto più profondamente i libri di Fiammetta, scoprendo che la madre era una sapiente benevola dei boschi e che le aveva tramandato il suo potere.
Nell’attesa decise di consultare le “ Rune della Luna piena “. Sparse i sassi contenuti nel sacchetto di velluto rosso lasciatole dalla madre e si apprestò alla lettura. Immediatamente sentì bussare alla porta.
Entrarono in silenzio avvolti da scuri pastrani con un cappuccio di tela che nascondeva il loro volto,uno di loro veniva sorretto a mala pena e appena dentro quasi cadde riverso per terra. Emise un rantolo di dolore l'altro uomo si precipito' a soccorrerlo e gli sussurro' qualcosa all'orecchio. Egrina era curiosa di conoscere i suoi ospiti ma Hugo le aveva fatto giurare di non rivelare a nessuno l'identita' dei due uomini. L'uomo ferito si trascinò con fatica per sedersi su una seggiola e incomincio' a disfarsi dei pesanti abiti mentre l'altro si prodigava ad aiutarlo.
Scorse i loro visi cosi diversi, il ferito capelli chiari occhi color cenere e lineamenti nobili, l'altro capelli corvini e ricci e una carnagione scura che contrastava vistosamente accanto a quella del suo padrone. Egrina chiese decisa :- da quanto tempo sanguina la ferita ? - da 3 giorni, i medici del Castello niente hanno potuto -rispose l'uomo non ferito che girandosi verso di lei rivelo' la sua identita'. “Si” disse sgranando gli occhi “sono Hegidius e lui e' Giores il figlio del Reggente della Provincia. Abbiamo subito un'imboscata ed e' rimasto ferito da un fendente al petto. Gli assalitori sono stati uccisi ma ora bisogna salvarlo poi penseremo a scoprire chi congiura contro il Reggente”. Egrina aveva nella sua misera casa il figlio di Solipante il Reggente che schiacciava da anni nel terrore piu' cieco gli abitanti della provincia.
Il ferito era Giores , sanguinario come il padre noto per essere un feroce torturatore dei suoi nemici nel castello dove dimorava con la sua corte. Nelle celle fetide e oscure migliaia di uomini , donne e bambini erano stati inghiottiti dall'inferno in terra. Hugo aveva convinto Regina ad aiutarlo rassicurandola che nessuno mai avrebbe ficcanasato tra le pareti della loro casa ed in particolare in quelle di Egrina che rischiava grosso con le sue particolari conoscenze ereditate dalla madre Fiammetta, il cui nome manifestava le sue origini italiane. Nicholaus e Fiammetta erano fuggiti di notte dopo che la loro casa era stata quasi distrutta da un'orda di popolani furiosi alla cui guida un gesuita brandiva una croce per santificare per sempre le anime della giovane coppia.
Il pensiero di non aver nessun ostacolo nello studio dei vari libri lasciatele dalla madre l'aveva persuasa a sanare quella ferita nel modo migliore e in tempi rapidi.
Giores febbricitante e spossato s’accasciò sul letto incitandola a fare presto emettendo un fievole sibilo. Hegidius le chiese il da farsi e fu invitato a denudare il busto di Giores e prendere un bacile di acqua calda. Un lieve movimento del capo di Giores acconsenti al comando e il recalcitrante Hegidius si allontano' lanciando un'occhiata di ammonimento a Egrina
Lei si avvicino' per osservare la ferita , il taglio segnava il petto da sinistra verso destra e se ne intuiva la profondità ,il colore scuro e lievemente giallognolo con un gonfiore lungo il bordo superiore era un segno di una grave infezione in corso . Una voce lontana dentro di lei le urlava di lasciarlo morire un essere come lui meritava la morte, ma aveva promesso ad Hugo di salvarlo
Prese dal tavolo il libro con la copertina viola sul quale la scritta in giallo “Terrus” faceva bella mostra di sé.


Il rituale era sempre lo stesso, stendeva il libro sopra un panno di velluto nero che copriva un tavolino davanti alla finestra , al lato sinistro accendeva una candela e alla destra poneva un bacile d’ acqua pura di sorgente e mentre volgeva lo sguardo alla Luna pronunciava una sola parola “Salem” che le permetteva di concentrarsi., quindi apriva delicatamente il libro e come ogni volta le pagine si fermavano in un punto preciso dandole la ricetta di ciò che cercava. Per la ferita di Giores occorrevano foglie di mandragora e unguento di maiale mescolato a succo di aloe. Doveva preparare anche un decotto di Verbena, digitale purpurea in piccolissime dosi, segale cornuta e oppio dolce per lenire i dolori e farlo riposare.
La ferita era in suppurazione ma lei con perizia la pulì delicatamente ed iniziò a cauterizzarla con l’unguento facendole infine bere il decotto. La notte scivolò via tra un delirio di parole scomposte e momenti di calma. All’alba sentì bussare leggermente alla porta era Hegidius che chiedeva notizie. “Dobbiamo aspettare fino a domani per sapere se la cura farà il suo effetto, non ci rimane altro da fare”.
E così lentamente passò anche il giorno. Giores da qualche ora sembrava essersi placato la fronte non era bruciante come la notte precedente ed Egrina si concesse un bagno ai fiori di camomilla . Si spogliò adagio appoggiando le vesti sopra una seggiola , dalla piccola finestra la sera volgeva al termine una fioca luce lunare illuminava le sue forme prosperose e i suoi capelli rossi fiammeggiavano ancora di più. Si sentiva un po’ a disagio a compiere quel rito con Giores a pochi passi da lei ma in fondo si disse che non era cosciente e quindi proseguì con i suoi effluvi.
Dopo il bagno cosparse il suo corpo di oli profumati alla rosa canina e muschio bianco, lo faceva lentamente assaporando quel momento di intimità e non si accorse dello sguardo di Giores che la stava contemplando nel buio.
Si era svegliato da circa mezz’ora sentendosi quasi meglio e appena aperto gli occhi la prima cosa che gli era apparsa era quella meravigliosa visione del corpo di lei nuda davanti alla finestra. Quasi senza respirare la osservava pensando che nessuna donna fino ad allora conosciuta poteva eguagliarla in bellezza. Seni rotondi e morbidi, curve voluttuose e quei capelli che le scendevano sulle spalle come lame di fuoco capaci di scaldare i sensi. Avrebbe voluto stringerla immediatamente a sé per sentire la sua pelle vicino alla sua ma non poteva far altro che guardarla in silenzio sperando che lei non se ne accorgesse togliendole quella visuale paradisiaca.
Dopo aver terminato Egrina si avvicinò al letto di Giores e lui all’improvviso spalancò gli occhi guardandola dolcemente, lei rimase molto colpita dal suo sguardo che indugiava dentro al suo. Aveva occhi bellissimi di un azzurro grigio intenso come le nuvole d’autunno, la bocca carnosa su denti bianchissimi, i capelli sembravano grano maturo e il fisico potente sprigionava forza e vigore. Distolse lo sguardo immediatamente dicendo “vedo che oggi si sente meglio se prosegue così dopodomani potrà tornare al suo Castello” “sì, in effetti sento che sto recuperando le forze, potresti chiamarmi Hegidius “.
Egrina uscì nel cortile avviandosi al casotto dove lo aveva sistemato , avvicinandosi al portone sentì prepotente uno sguardo che la penetrava facendole contorcere le viscere di brividi, Hegidius la stava osservando con occhi voluttuosi .
Senza mezzi termini disse “il suo Signore la desidera”.
Quello sguardo le aveva messo addosso un senso di disagio, cercò di non pensare a lui ma a Giores, stava facendo grandi progressi presto avrebbe ripreso la sua vita e Lei la sua. Ad un tratto si accorse che Hegidius la seguva, percepiva il suo alone misterioso e il suo pensiero potente, voltandosi di scatto chiese “Deve dirmi qualcosa” “Sì il mio padrone ha deciso di rimanere fino all’ultimo quarto di Luna, partiremo tra sei giorni”.
Rientrando in casa si accorse che Giores non era più nel suo letto, stupita volse lo sguardo per cercarlo e allora lo vide . Era mollemente straiato sul divano pareva la stesse aspettando ansioso. “Non deve muoversi dal letto, la ferita non è ancora rimarginata e se si riapre non credo di poter fare molto”.
“In questo momento la ferita è l’ultimo dei mie pensieri, vieni qui, siediti vicino a me”. L’istinto le diceva di fuggire immediatamente, ma la sua voce suadente e il suo sguardo accattivante la convinsero. “sei molto bella, hai i capelli d’un rosso fiammante come le tue labbra morbide, ti ho vista mentre facevi il bagno e da quel momento non ho pensato ad altro che a te”.
Mentre lo diceva s’avvicinava sempre più e lei si sentì perduta. Le labbra di Giores s’appoggiarono dolcemente alle sue indagandola. Lei non si sottrasse , era così piacevole quel calore, da tempo immemorabile nessun uomo l’aveva posseduta.
Fecero l’amore lentamente con molto riguardo per non compromettere la ferita di lui. Ad un tratto Egrina alzando lo sguardo s’accorse di un ombra dietro alla finestra e capì che Hegidius li stava osservando.
Con un tremito nelle mani si allontanò da Giores ed incominciò a rivestirsi. “Che cosa ti succede, non ti è piaciuto, dovresti essermi grata piccola strega, hai fatto all’amore con il tuo Signore”
La sua voce aveva cambiato tono, ora era tagliente come una lama d’acciaio e lei decise di non replicare, non voleva che lui si alterasse e non poteva dirgli di Hegidius probabilmente non le avrebbe creduto” “No, non è questo, è che devo andare a raccogliere delle erbe nel bosco, ho già avvisato la sua guardia di come deve procedere per la fasciatura e la medicazione , rientrerò all’alba” “mi stai mentendo bugiarda, dimmi perché te ne vai proprio ora a raccogliere le tue maledette erbe e devi stare via sino all’alba” Il viso di lui era una maschera rabbiosa ed un brivido freddo colò giù per la sua schiena” “Devo raccoglierle prima dell’alba quando ancora non sono bagnate di rugiada e nel pieno vigore del chiarore di Luna, non si preoccupi avrà comunque le sue cure” Così dicendo uscì velocemente dalla porta e s’incamminò verso l’amico bosco.
Camminava guardando i suoi passi che ritmavano anche il pensiero. Non credeva che fare l’amore con lui l’avrebbe sconvolta così tanto, era stato come ritrovare la chiave di uno scrigno segreto, i suoi sensi che pensava sopiti da tempo si erano completamente risvegliati , “mio Dio ed ora cosa succederà”. Il trasporto tra loro era stato perfetto, sentiva il suo odore sulla pelle e le sue mani che l’accarezzavano, un fremito di piacere le sfuggì dalle labbra.
Era così assorta che sentì solo all’ultimo momento un fruscio di foglie secche calpestate. Si girò di scatto, Hegidius la stava braccando alle spalle. Non riuscì ad emettere nessun grido lui le aveva già tappato la bocca con la sua, mentre le sue mani si insinuavano tra la stoffa strappandola per toccarle il seno. Quel bacio rubato lo sentiva misto alla rabbia che radeva i muscoli e a quel punto incominciò a pronunciare strane parole vorticando le mani in aria, Hegidius turbinava nel vento che lo avvolgeva come un tornado, i rami degli alberi si piegavano ed un lampo squarciò il cielo. Dentro di lei solo una parola “Vendetta”. Uno scalpiccio di passi placò la sua furia e dal nulla Giores si presentò alla loro vista. Così seminuda e distesa a terra spossata poteva sembrare che si fosse appena consumato un amplesso tra loro.
“Partiamo immediatamente, portati dietro la tua strega al Castello” disse la voce glaciale di Giores.


Poco distante al riparo dietro alti cespugli due cavalli a malapena illuminati dalla luna aspettavano in attesa di essere montati. Giores come un fiume in piena si faceva largo tra l'erba alta mentre Hegidius tirandola per i capelli la sollevo' e fissandola negli occhi le disse:-
”Augurati che la tua pozione sani la ferita del mio padrone prendi le tue erbacce e taci altrimenti tu e tuo fratello farete una brutta fine” .Egrina aveva il viso rigato dalle lacrime era impaurita e temeva per la sua vita e quella di Hugo, si sentiva lurida e infreddolita a causa degli abiti stappati e ora tremava tutta. Alzatasi in piedi venne spinta in malo modo in avanti verso i cavalli e capì che rischiava veramente grosso, aveva sbagliato ad accontentare suo fratello. Ad un tratto la sorte le venne in aiuto mentre camminavano verso i cavalli, nel buio un riflesso conosciuto catturò la sua attenzione ed istintivamente finse di cadere . “Alzati e continua a camminare” tuonò Egidius e Lei con un gesto fulmineo della mano strappò quella bacca dai bagliori come stelle infuocate. Sua madre le aveva raccontato la storia del fiore luminescente del diavolo.Nei suoi petali che si aprivano solo di notte era contenuto un veleno molto potente capace di uccidere, ora sulle sue labbra una smorfia di sollievo era appena visibile.
Giores intanto, montato rapidamente a cavallo si dirigeva senza aspettarli verso il suo castello al gran galoppo la ferita ora sanguinava ma l'infezione era migliorata e lui doveva sfogare la sua rabbia. Hegidius ed Ergina arrivarono con difficolta' ai cavalli e brutalmente lui le impose di montare a cavalcioni ponendosi dietro di lei e strusciando il viso sui suoi rossi capelli incitò il cavallo che partì velocemente.


Giores sentiva dolere la ferita. Rapidamente con uno sguardo notò che una macchia scura sporcava vistosamente la camicia. Per tutto il percorso aveva pensato solo a lei , al suo corpo e a quelle fiamme rosse che ondeggiavano mentre facevano all’amore. “te la farò pagare tu non sai di cosa sono capace” La rivedeva lì nel bosco, dove l’aveva trovata, con lo sguardo sfatto e il seno semicoperto, gli aveva mentito, si doveva incontrare con Hegidius e lui li aveva sorpresi mentre si baciavano, in quel momento aveva sentito un forte dolore , ne era sicuro non era la ferita ma il suo cuore. Immediatamente doveva interrompere quell’idillio la gelosia lo accecava. Quello che gli faceva più male era averla sentita così dolce ed arrendevole tra le sue braccia sotto le sue carezze mentre lei aveva fatto tutto solo per compiacerlo e questo non poteva sopportarlo.
Egrina sentiva l’alito acido di Hegidius che le soffiava sul collo e la sua mano che s’aggrappava al seno, le lacrime ormai si erano asciugate al vento e la sua mente lavorava rapida. Lo voleva morto fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua. La rabbia e la paura aumentavano man mano che si avvicinavano al Castello. Razionalizzò e si disse “Hanno ancora bisogno di me, la ferita si sarà sicuramente riaperta e questo mi permetterà di avere un po’ di tempo per pensare” Sapeva che lì nessuno l’avrebbe aiutata e che doveva agire da sola.
Il rumore degli zoccoli sul selciato rimbombo' all'interno del piazzale del Castello, scendendo da cavallo fu disgustata dal tanfo e da quei muri impregnati di umidita' e sporchi che lo rendevano particolarmente lugubre.
Al Castello fu alloggiata in una fetida camera e rinchiusa a chiave. Le veniva portato due volte al giorno il cibo ed usciva accompagnata solo per medicare la ferita di Giores che non le risparmiava ogni volta i suoi insulti. Quei pochi minuti con lui la facevano stare male, leggeva il disprezzo nei suoi occhi di ghiaccio mentre lei avrebbe voluto accovacciarsi ai suoi piedi come uno dei suoi cani per farsi accarezzare i capelli e sentire nuovamente quelle mani morbide. Il primo giorno fu così’ sconvolta che appena rientrata nella sua cella si mise a piangere fino a notte inoltrata quando la Luna era già alta nel cielo color inchiostro.
Improvvisamente si sentì impossessare dalla sua forza e dal suo candore, Lei figlia della Luna ora implorava la Madre che per secoli aveva raccolto tra i suoi crateri le richieste d’amore, quella luce sembrava avvolgere la sua pelle bronzea di un biancore argentato facendola risplendere nella notte. Si inginocchiò ed iniziò a cantilenare nella lingua insegnatole da Fiammetta. “Oh Madre Luna t’imploro in nome del mio amore, rendimi invisibile ai suoi occhi portami tra le sue braccia come un tuo respiro nel vento, fammi godere ancora dei suoi baci e delle sue carezze dammi il potere
della trasparenza come acqua di ruscello che scorre tra le vallate” . Dopo queste parole cadde in un sonno profondo ed ebbe la sensazione che il suo corpo fluttuasse nell’aria ritrovandosi con altre sembianze accanto a Giores nella sua camera da letto.
Giores russava pesantemente, ormai da quando era tornato al Castello ogni sera si ubriacava imprecando contro Egrina, non riusciva a dimenticarla nemmeno affogando nell’idromele.
Si svegliò di soprassalto percependo sottilmente una presenza accanto a sé, girandosi la vide.
La sua pelle era di un biancore come neve appena caduta, le sue forme arrotondate parevano disegnare archi tra le lenzuola. Chi era quella donna, non ricordava di averle permesso d’entrare nel suo letto. Da quel giorno con Egrina non aveva più fatto all’amore e dovette ammettere che quel corpo così abbandonato le dava piacere.
Sollevandosi sui gomiti riuscì, malgrado l'ennesima sbornia, a sollevare meglio la testa e passando la mano destra sugli occhi volle assicurarsi che fosse solo una visione della sua ubriacatura, quella donna splendida invece lo guardava intensamente ipnotizzandolo. I suoi occhi erano di.un color nocciola cosi scuro, come castagne di un autunno inoltrato, che lui ci si perse dentro. Penso' di essere impazzito e nel buio piu' totale sentiva che doveva bere qualcosa, muovendosi adagio e tastando con i piedi a terra incomincio' a camminare quando gli apparve improvviso un puntino luminoso. Piccolo ma così iridescente sembrava quasi che una stella si fosse staccata dal cielo per illuminare la sua stanza e arrestarsi davanti al suo viso per poi spostarsi nuovamente. Seguendo quel punto di luce si trovo' in una strana camera capovolta dove dal pavimento pendevano specchi di ogni dimensione amplificandone lo spazio. Ad un tratto un terrore cieco si impadronì di lui mentre guardava il suo volto riflesso in uno degli specchi questi improvvisamente si frantumò e il suo viso e il suo corpo gli apparvero martoriati da piaghe purulenti e sanguinanti. Incominciò a sentire freddo come se un gelido ghiaccio lo avvolgesse ibernandolo. I tremori mano a mano scemavano sempre di più e capì che il sangue non fluiva nelle vene, non poteva muovere un passo il ghiaccio l’aveva immobilizzato forgiando il suo corpo come una statua di neve. Solo i suoi occhi e la sua mente avevano vita, provò ad articolare un grido ma dalla sua bocca non uscì nessun suono e pensò “sono perduto”.
Nel buio una fiaccola avanzava lenta con un bagliore di fuoco, illuminando la mano che la reggeva, veniva adagio verso di lui avvicinandosi sempre più. Ebbe una capriola al cuore, Egrina gli stava sorridendo con quel sorriso dolcissimo che lui ben conosceva e anche se non capiva cosa gli stesse dicendo i suoi occhi lo avvolsero interamente con piccole fiammate di calore mentre alle sue spalle si materializzava un oggetto simile ad martelletto che iniziò a picchiettare il suo corpo per smantellare il ghiaccio che lo avvolgeva. Da ogni fessura provocata uscivano ombre che sgusciavano veloci facendogli emettere un sibilo impercettibile, uno,due,tre ...riempiendo quel luogo con un frastuono cosi' forte da procuragli un dolore ai timpani e sentì che calde gocce scendevano sul suo viso sbocciando al suolo come fiori di cristallo. La sua voce risuonava dolce mentre chiedeva perdono ad Egrina ed il suono improvvisamente si annullo'. Lei avvicinandosi gli prese il viso tra le mani asciugandogli delicatamente le lacrime implorandolo di non scacciarla. “Ti amo cavaliere, non uccidere questo amore con le fiamme folli della tua ragione, lascialo sbocciare rigoglioso nel tuo cuore, amami”
Sebbene incantato dalla sua avvenenza e dal suo sguardo di cerbiatta Giores si distolse emettendo un grugnito figlio dell'ubriacatura e disse “Mai...Mai...sei una strega ...la sposa del diavolo e io ti brucero' e con te annullerò quest’ossessione che mi attanaglia i giorni e le notti” . Strappandole la torcia dalla mani la brandì contro di lei che velocemente come una folata di vento si allontano' da lui e mentre la torcia cadeva tutto s’ammantò del buio più profondo.
Il suo corpo riprese piano il possesso di sé stesso, la luce filtrava nuovamente nella sua stanza. Un profumo di gelsomino aleggiava nell’aria , la donna era scomparsa,andata,.svanita, fuggita.e lui si ritrovo a bere un'altro sorso del vino speziato che gli annebbbio' la vista facendolo di nuovo cadere tra le braccia di Morfeo.


Egrina si svegliò con un forte dolore al petto mentre il giorno stava nascendo e della Luna si notava solo un leggero contorno nel pallido grigiore dell’alba invernale. Cos’era quel dolore sordo al centro del cuore? Sì, lo sapeva, Giores non la voleva, l’aveva scacciata e nemmeno
il potere lunare le aveva concesso un’altra notte d’amore con lui.
Cosa le importava ora di essere lì in quell’umida cella del Castello se Giores non l’amava, era tutta colpa di Hegidius e di quel bacio rubato nel bosco. Hegidius aveva spezzato per sempre il filo magico che legava Lei e Giores. Il suo cervello gridava vendetta avrebbe voluto vederlo morto
ma tutto ora era inutile, presto sarebbe bruciata tra le fiamme più alte e del suo corpo sarebbe rimasta solo la cenere.
Non l’aveva più visto ma quel giorno stranamente lui si era presentato alla porta della sua camera “Alzati ti accompagno da lui”. Lei lo fulminò con lo sguardo e prima di uscire prese tra le mani il “fiore del diavolo”. Mentre percorrevano quei bui corridoi lo guardava con la coda dell’occhio.
Hegidius era eccitato per la vicinanza di quella donna, Lei gli faceva uno strano effetto, un misto di sensazioni dalle più dolci alle più torbide avrebbe voluto prenderla tra le braccia e amarla ma sentiva prepotentemente la sua rabbia .
Lei lo aveva colpito sin dall’inizio appena vista, con quei capelli rosso fuoco e quello sguardo d’ambra che faceva pensare al Sole quando tramonta, era stato un pugno nello stomaco ma Egrina non aveva occhi che per Giores.
Quel giorno che li aveva spiati mentre facevano l’amore avrebbe voluto ucciderli entrambi. Poi quell’occasione nel bosco, vederla camminare come sulle nuvole e la sua gelosia si era scatenata rubandole quel bacio per sentire la sua morbida bocca sulla sua.
Voleva riprovare quella sensazione e ad un tratto le bloccò il passo premendola contro il muro
tentando nuovamente di baciarla. Lei serrava gli occhi e con tutta la forza che possedeva liberò la mano e gli infilò un petalo del fiore tra le labbra tenendogliele premute per un breve secondo Hegidius si scostò immediatamente barcollando “Cosa mi hai dato te la faccio pagare adesso ti…” ma non finì la frase, stava soffocando e cercava di portare le mani alla gola tossendo per sputare quel petalo ma ormai il veleno stava facendo il suo effetto e lui stramazzò al suolo pesantemente con la bava alla bocca. Egrina tremava come una foglia al vento d’autunno non sapeva che fare e allora si mise a correre cercando una via di fuga.
Aveva quasi raggiunto il cortile che portava all’uscita del Castello quando due mani l’afferrarono bloccandola ed i cani s’avventarono su di lei. Erano le guardie di Solipante. Ormai era spacciata l’avrebbero uccisa all’istante, invece la buttarono come un sacco di patate nella segreta del Castello.
Era lì al buio ormai da tre giorni quando improvvisamente sentì il chiavistello girare nella toppa e Giores entrare.
Per un lungo istante lui la guardò con dolcezza poi scatenò tutta la sua rabbia.
“Hai avvelenato la mia guardia con le tue maledette erbe ma per tua sfortuna Hegidius non è morto. e ha raccontato tutto, di quel giorno nel bosco dei tuoi atteggiamenti provocanti che gli avevano fatto perdere la testa come se non fosse più stato sé stesso e di quel bacio che hai cercato di rubagli in un attimo di cedimento.
Allora strega pentiti perché domani brucerai tra le fiamme, lambiranno la tua carne peccaminosa e in quel momento ti ricorderai per l’eternità di me, non ci sarà acqua a spegnere il rogo né pietà che ti verrà concessa, tu rappresenti il diavolo sotto forma di piacere ed io ti sconfiggo ora e per sempre. Cosa hai da dire in tua discolpa parla ti concedo un minuto”
Nessuna parola uscì dalla bocca di Egrina solo uno sguardo pieno d’amore che impresse i suoi occhi grigi nella mente. Giores lo percepì e per un attimo ne fu sconvolto ma la rabbia che provava nei suoi confronti era più forte del sentimento per lei. La guardò ancora una volta accarezzandola mentalmente poi uscì voltandole le spalle per sempre.
La pira era stata allestita nella piazza dove sorgeva il Castello di Giores che tutti chiamavano “La Mandragora” per la quantità di questa specie di piante che cresceva rigogliosa nel suo giardino.
Attorno ad essa si erano accalcati un gruppo di persone curiose, gente del paese che non voleva perdersi quello spettacolo, donne e uomini bigotti che erano più impauriti da quella giovane donna dai capelli rossi che da Solipante padre e figlio.
Era arrivato il momento, Egrina vestita solo di un sacco di iuta con le mani legate e i capelli rasati veniva condotta sopra un carro trainato da due buoi. Al suo passaggio la folla urlava “Strega, strega brucerai all’Inferno” .
Giores dall’alto del Castello assisteva alla scena e il cuore gli batteva forte, sentiva che stava commettendo un grosso errore, quella donna era stata la prima ad aver smosso dentro di lui emozioni che credeva di non possedere, chiuse gli occhi per un attimo e la vide in tutta la sua bellezza in quella piccola casa al limitare del bosco, ridere mentre muoveva dondolando i suoi fiammanti capelli, nell’intimità con lui , la dolcezza e la sua forza, il suo sguardo delicato e in quel preciso momento avrebbe voluto far tornare indietro il tempo.
Ormai era troppo tardi per tutto, Egrina era già tra le fiamme e per l’ultima volta i loro occhi s’incrociarono.
  • Le fiamme ormai lambivano la tela del sudicio sacco che copriva il suo corpo, il calore era insopportabile cercò di muoversi quasi potesse fuggire ma le corde bollenti le bruciavano la sua candida pelle, iniziò ad urlare sempre piu' forte e a piangere disperata..Egrina, nonostante tutto amava Giores il suo carnefice e a lui si era donata con tutta sé stessa. Quando lo curava e lui era incosciente, aveva scavato nella sua anima scoprendo una lato umano nascosto dietro alte mura rese impenetrabili dai suoi atteggiamenti scostanti mentre invece possedeva debolezze e dolcezze, l’aveva sentito nella visione dell'arcobaleno che come un’ala emanava un riflesso speciale nei contorni della ferita che squarciava i suo petto.
    Il fumo saliva sempre più ,ormai era asfissiante, i suoi piedi bruciavano e le fiamme si confondevano con i suoi capelli rossi, quasi pazza per il dolore urlava e prima di perdere i sensi il viso di Giores le apparve tra le lingue di fuoco e lei con l’ultimo alito di vita gridò:- “Ti amo e tra noi non finisce qui, ricordalo, ancora tu non lo sai, ma mi verrai a cercare”. .


L’incendio ora l’avviluppava tra le sue braccia e gli astanti piu' vicino alla pira giurarono che la strega maledetta prima di morire ridesse così forte che pensarono addirittura fosse la sposa del diavolo tanto era stata la sua resistenza al dolore. Le guardie stesse, quando tutto fu finito, andarono a rimestare con le lance tra le ceneri per accertarsi che non fosse volata via.


Regina sentiva un calore infernale e un odore di cera colata svegliandosi di soprassalto, era madida di sudore con una smorfia di terrore che le trasformava il viso stupendo in una maschera mostruosa.
Pian piano realizzò che l'odore di cera che aveva avvertito era un'essenza messa in bella mostra di se' sul suo comodino.
Asciugandosi con il dorso della mano la fronte imperlata di sudore si accorse di aver bisogno di una doccia. Sedendosi sul bordo del letto si guardò intorno stupita come se non conoscesse quelle pareti .Gli abiti che indossava la sera prima erano riposti in modo ordinato sulla seggiola,la notte era volata veloce come un gabbiano sospinto dal vento di tempesta, non ricordava di aver indossato quella camicia da notte di seta color ecrù ,non ne aveva mai posseduto una simile, frastornata cammino' fino alla porta del bagno e prima di entrare nella cabina doccia notò che sul marmo del lavabo faceva bella mostra di sé un fiore violaceo con il bordo piu scuro. Lo riconobbe, era il “fiore del diavolo”.
Mentre si lasciava indietro quella notte agitata sotto la pioggia delle calde gocce pensò “perché proprio questo fiore, è lo stesso del mio sogno, che sia un presagio, stanno succedendo strane cose in questo paese, eppure non sono spaventata ma è come se fossi in attesa di qualcuno o di qualcosa”


L'uomo, che la sera prima Regina aveva per un breve istante inquadrato nel suo sguardo lasciandole un senso di calore, era Sergio
Anche lui come Regina, in quel luogo che profumava di mistero misto al silenzio, stava provando a scacciare i fantasmi. Credeva di aver amato l’ultima donna della sua vita invece era stato solo usato, dopo essere sfuggita alla galera l’aveva tradito con un altro facendolo soffrire. Quella sofferenza e quel dolore erano una ferita aperta che sanguinava continuamente.
Non riusciva a comprendere, in fondo aveva maturato dentro di sé la convinzione che non era stato vero amore, che l’amore era qualcosa di più, sentiva che là fuori nel mondo c’era una donna in cerca di lui. Doveva riconoscere però che quella relazione era riuscita a rompere lo strato di granito che aveva dentro di se. Sì, aveva pianto disperato, deluso per il tradimento ma anche perchè aveva assaporato cosa significasse amare ed essere gettato nel baratro più profondo e sentire il proprio cuore arrestarsi e gelarsi per il dispiacere.
Dopo giorni di inedia e di amarezze trascinandosi pesantemente appresso il dolore o quella specie di malinconia che vela come una polvere sottile lo sguardo ,una sera, mentre s’accompagnava con la sua solitudine, aveva visto o aveva creduto di vedere nello specchio della sala da pranzo la sagoma di una donna rannicchiata e sofferente .Quella visione gli aveva procurato uno squarcio nel cuore provando per Lei un sentimento d'amore inaspettato che come un gancio destro lo aveva steso all'istante e lasciato senza fiato. Era stato solo un momento di smarrimento e per scacciarlo decise di uscire di casa a prendesi una boccata d'aria fresca. Agguantò al volo le chiavi dell’auto guidando senza meta. Tutto era così surreale e quasi predestinato, lo sentiva quel flash aveva un senso, d'istinto cercò nella tasca sinistra della giacca il portasigarette, fumare sarebbe servito a scemare l’ansia, non c’era, ovvio ormai erano 10 anni che non toccava una sigaretta, .in compenso trovò la sua carta di credito e in quel preciso istante capì che doveva lasciare la citta' e provare a cercare quella donna dai capelli color del fuoco. Sapeva che era stupido, lei cos’era stata un'ombra, una sagoma, una visione, stava impazzendo ma continuava a guidare come se l’auto fosse pilotata da una forza misteriosa , la strada si snodava al buio ma lui vedeva il percorso illuminato ai lati di essa.
Seguendolo si era ritrovato per caso in quel paese strano come abbandonato, l'albergo vuoto sembrava aperto solo per lui, niente ospiti solo il silenzio e poi all’improvviso quel viso e quei capelli gli avevano squarciato il pesante velo davanti ai suoi occhi facendolo fuggire in camera sua sudato fradicio.
Mentre si cambiava d’abito notò sul petto un segno rosso fuoco che lo attraversava da sinistra verso destra . Incredulo lo toccò con la mano e tutto il suo lontano passato iniziò a srotolarsi davanti ai suoi occhi.
Si era rivisto in quel lontano 1655 accanto ad Egrina , tutte le immagini ora gli scorrevano davanti come in un film, percepiva il suo amore, il suo dolore, il suo terrore e le sue ultime parole. L’aveva sacrificata al suo egoismo e al suo orgoglio ma sentiva, nonostante tutto, che aveva la possibilità di rimediare al suo errore, lei glielo aveva sussurrato tra le fiamme, loro si appartenevano da secoli.
Corse fuori con il cuore che gli balzava nel petto
Individuata la camera di Regina stava per bussare, doveva raccontarle tutto ma improvvisamente sulla porta, come per incanto, quattro triangoli infuocati danzavano davanti ai suoi occhi ed ipnotizzandolo lo precipitarono nell’oscurità più profonda.


Voci confuse, parole che parevano litanie, odori di fiori e di terra umida, rumori come un’eco lontano di cascata, con gli occhi chiusi Sergio si disse “Sono ritornato dove tutto è iniziato, mi sembra di essere vicino al bosco nella casa di Egrina”. Aprendo lentamente gli occhi gli apparve qualcosa che sapeva d’incredibile .
Distesa, vicino a lui, sopra un letto di rose rosse Regina teneva tra le mani un’ ampolla d’acqua, al lato destro Giada, la proprietaria dell’Hotel, vestita di veli e di foglie, reggeva un vaso trasparente e all’altro lato Gabriel a petto nudo, portava al collo un ferro di cavallo con borchie turchesi.


La voce di Giada parlò calma e pacata “siamo qui questa notte di Luna piena per celebrare la magia dell’amore, la forza che essa sprigiona nel tempo senza spazio né confini, noi, in questo preciso istante, rappresentiamo i quattro elementi della natura: fuoco, acqua, terra e aria. Siamo un cerchio nel cerchio. Egrina ovvero Regina e Giores ovvero Sergio devono riprendere il loro amore da dove fu interrotto da forze oscure e malvagie, così è stato scritto nel libro del destino. Ora ognuno di noi prenda la mano dell’altro e si lasci trasportare.”
E fu come se il vento veloce lambisse le fiamme e la terra si squarciasse sgorgando tra le sue viscere cascate d’acqua cristallina , tutto fluiva rapidamente riprendendo il suo corso.
Regina e Sergio s’attrassero come una calamita e s’abbracciarono con tutto l’amore possibile
E in quel momento ogni cosa tornò al suo posto .
Si ritrovarono tra le braccia come in quel lontano meriggio del XVII secolo, Sergio inspiro' avidamente il profumo della sua pelle ambrata e i capelli color tiziano ora lo trascinavano in un vortice di sentimenti ,pensieri e desiderio che si vaporizzavano nella stanza procurandogli uno stato di ebbrezza. In balia di un tempo senza tempo erano ora sospesi, la paura ,la tristezza,il profondo dolore che aveva lacerato i loro cuori non facevano piu' parte di loro. In piedi l'una davanti all'altro dopo svariati secoli finalmente senza un morso di parola ne' un sibilo ma solo i loro occhi che parlavano silenziosi.
Occhi color cenere che si tuffavano in quelli color caramello, .i palpiti dei cuori che ritmavano una melodia tanto attesa e finalmente si fusero in un amplesso incantato senza tempo.

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