mercoledì 29 febbraio 2012

"Incontro di Luce" di Anna Castelli




Punteggio 186/250  (7.4 voto)

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Si dispose al centro del pentagramma magico, seduta a gambe incrociate, e iniziò a recitare la litania che le permetteva di liberare la mente.
Il profumo dell'incenso raggiungeva i suoi sensi, intossicandoli con delicata armonia.
Iniziò a ondeggiare lieve avanti e indietro, continuando a cantare la sua nenia.
Improvvisamente percepì senza aprire gli occhi le linee del pentagramma farsi incandescenti: gli apici espansero i segmenti che lo componevano al di fuori di esso, formando una serie di rette che andavano a intersecarsi componendo una serie infinita di pentagrammi dalle linee rosse e luminose. La sua mente in quel momento poteva vedere chiaramente e, continuando a recitare il suo mantra, si guardò attorno: l'orizzonte risplendeva dei filamenti infiniti dei pentacoli, come se l'intero terreno fosse una cosa viva; al di sopra di essa il cielo era blu elettrico e andava scurendosi, in un tramonto che pareva dilatarsi all'infinito: alla sua destra, infatti, la luce del sole era ancora alta e bianca, e schiariva la scena, mentre alla sua sinistra la luna, bianca anch'essa, dominava uno sfondo che tendeva al nero. Dappertutto, una cortina di stelle che luccicavano in maniera disuguale, affollando il cielo di piccoli bagliori; vi erano anche stelle cadenti, che precipitavano in orizzontale andandosi a perdere prima di toccare quell'orizzonte reso sanguinante dai raggi del pentacolo. Inspirò a fondo, sorpresa di tanta meraviglia. Poi la sua percezione mutò di nuovo: girò lo sguardo della percezione alla sua sinistra: poco lontano da lei scorse una roccia, e sulla roccia vi era una figura umana, nuda, girata di spalle.
Piangeva. Sembrava ferita.
Decise di alzarsi per andare a vedere.
Non aveva paura di abbandonare il pentacolo, poiché questi era infinito, ripetuto innumerevoli volte sotto i suoi piedi; lo percorse senza badare a ciò che calpestava, le linee pulsanti sotto i suoi piedi nudi.
Giunse alle spalle della figura seduta sulla roccia: si trattava di un uomo, anzi di un ragazzo, a giudicare dalla figura snella e dalla pelle liscia; stimò che avesse più o meno la sua età.
Era rannicchiato su se stesso e singhiozzava.
Aveva due ferite sulla schiena, sotto le spalle, l'una accanto all'altra: sanguinavano vistosamente e lei non sapeva che fare.
La cosa che le venne più naturale fu toccarlo lievemente alla spalla destra per attrarre la sua attenzione.
Il ragazzo girò lentamente la testa nella sua direzione: aveva un'espressione triste e due occhi chiarissimi color ghiaccio, che assumevano varie sfumature a seconda di come li colpiva la strana luce di quel paesaggio.
Le lacrime scendevano abbondanti sul suo viso, anche se aveva smesso di singhiozzare.
Lei pensò fosse colpa delle ferite, del dolore atroce che quelle dovevano infliggergli.
Non pensò nemmeno se potesse parlare una lingua per comunicare con lui: decise di strapparsi una parte della veste da cerimonia per fermare il sangue; iniziò dalle maniche, inutilmente lunghe.
Lacerò la stoffa coi denti e ne fece due pezze, ne tenne una da parte e con l'altra si avvicinò cautamente alla schiena del ragazzo, sorridendogli per rassicurarlo.
Cominciò a tamponare il sangue per rendersi conto di quanto profonda fosse la lacerazione: riuscì a pulire in fretta le ferite e si rese conto che c'era qualcosa che sporgeva dalla schiena del ragazzo, due piccole escrescenze nerastre che facevano scottare la pelle attorno ad esse. Le ricordarono il dolore dei denti che crescono al posto di quelli da latte.
Passò cautamente la pezza attorno ad essi, e asciugò tutta la materia in eccesso.
Il ragazzo nel frattempo aveva smesso di piangere, e guardava lontano, in silenzio.
Quando lei finì questa operazione, si girò per buttare lontano la pezza sudicia.
In quel momento il ragazzo le afferrò gentilmente ma in maniera decisa il polso.
La pezza cadde per terra. Lei stava fissando quell'essere strano, che la osservava con quegli occhi stranissimi, quasi delle gemme che riflettevano il contenuto della sua testa, come se dietro di essi ci fosse l'oceano intero.
“Grazie” disse lui debolmente.
Aveva una voce profonda.
Iniziò a parlare, con un tono come se stesse raccontando più a se stesso che a lei:
“Sono fatto della stessa sostanza di Dio. Non ho nessuna coscienza di cosa ci fosse “prima”, la mia esistenza è sempre stata piena di Dio, e basta; una risonanza in cui vivevamo una beatitudine armonica. Poi il mio essere è mutato: dalla mia sostanza ha iniziato a scaturire l’opposto.
Chiesi: "Dio, che cosa mi hai fatto?"
Ma Dio non poteva essere Dio se non avesse avuto qualcuno con cui confrontarsi, come il bianco non esiste se non ha il nero in cui rispecchiarsi come suo opposto.
Crebbe in me la passione e il desiderio di prendere il suo posto: non più “di Dio” e “in Dio”, ma Dio stesso, senza opposti a ricordarmi chi fossi, in eterna beatitudine di un'unica sostanza: me stesso.
Superbia”, questo mi disse Dio.
Venni precipitato.
Le mie ali… a quel tempo avevo ali, sì… bruciarono.
Ne vidi altri precipitare: quelle stelle cadenti che piombano verticalmente perdendosi all'orizzonte sono altri che mi avevano seguito nei giorni di superbia.
Mi ritrovai in questo luogo desolato.
Solo. 
Sto aspettando che mi crescano le nuove ali.
Nell'attesa Dio ha deciso che dovevo patire tutti i dolori della condizione umana, per cui la carne della mia schiena sta lacerandosi a causa della crescita di nuove ali.
Ho freddo e mi sento solo. Molto solo.”
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
Accarezzò il viso sofferente del ragazzo, che dolcemente la attirò a sé. Unì le labbra alle sue, coinvolgendola rapidamente in un bacio profondo e possessivo.
Le loro lacrime si mischiarono, al punto che lei non poté più dire se il sapore amaro che sentiva in bocca era quello dei suoi occhi o di quelli del ragazzo.
La strinse a sé, e lei sentì il calore del suo corpo nudo sulla delicata stoffa della tunica.
Lo abbracciò, attenta a non toccare la parte della sua schiena piagata dalla crescita delle nuove ali.
Si ritrovarono inginocchiati, occhi chiusi, bocche unite, quindi distesi, desiderosi, avvinti dalla passione, frementi nella scoperta l'uno dell'altra.

"Sbalordito il diavolo rimase, quando comprese quanto osceno fosse il bene."

Si addormentarono alfine, vinti dalla stanchezza della loro stessa passione.
La giovane riaprì gli occhi da un sonno pesante e senza sogni, svegliata da un lamento: il ragazzo se ne stava raggomitolato su se stesso, in preda a dolori atroci; la schiena aveva ripreso a sanguinare abbondantemente.
La giovane strappò un lungo pezzo di tunica dalla parte della gonna, e assieme alla seconda pezza fatta con le maniche iniziò a ripulire le ferite dal sangue, massaggiando la pelle con movimenti delicati: gli spuntoni sottopelle pulsavano facendosi spazio nella carne, allargando con violenza la ferita.
Aiutò quelle escrescenze a uscire, mentre il ragazzo se ne stava a pancia in giù, urlando di dolore.
Finalmente venne alla luce la mostruosità che stava facendo impazzire il giovane: un paio di enormi ali ricoperte di penne nere, ognuna di esse della consistenza di pelle umana, attraversata da quelli che sembravano essere una fitta rete di capillari.
Le ripulì dal sangue: ora la ferita si stava richiudendo attorno alla loro base con grande velocità.
Il ragazzo, stremato dalla sofferenza, si stava lentamente riprendendo.
Si sedettero infine l'uno accanto all'altra, mentre la ragazza gettava lontani i pezzi di tunica lordi di sangue.
Il ragazzo fissava un punto lontano all'orizzonte con i suoi occhi luminosi e fiammeggianti di luce azzurrina.
Girò lentamente la testa, guardando la ragazza con sguardo distante, come se pensasse ad altro: “Ora non sono già più umano, ho un regno e sono fatto della stessa sostanza di Dio, dunque non sono anch'io Dio? Il mio regno si chiamerà Inferno, e sarà l'eco del mio dolore per l'eternità. Meglio regnare all'Inferno che servire in Cielo.”

La ragazza si ritrovò sola nella sua stanza, al centro del pentagramma magico disegnato sul pavimento, il viso coperto di lacrime.
L'incenso aveva oramai esaurito la sua essenza da tempo.
Dalla finestra, la prima stella del mattino riluceva nell'oscurità.

13 commenti:

  1. Fantastico...Complimenti..molto ma molto bello!!!

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  2. Molto intenso, complimenti!
    Laura

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  3. cavolo!!! Bellissimo, davvero ben fatto e ben scritto!!! E il Diavolo non ottiene simpatia o pietà, ma viene rispettato nella sua prometeica grandezza, un Diavolo miltoniano ancora più possente nella sua romantica e decadente certezza... anche se schiavo del Chaos, ancora riesce a vivere... BELLO DAVVERO!!!!!

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  4. splendido, accattivante, un racconto davvero degno di nota! Simo irish lady

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  5. Davvero ben scritto. Colori descritti magistralmente. Intenso.

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  6. Sublime!Sei stata bravissima!hai usato le parole come un grande chef crea le sue portate. Complimenti.

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  7. Meravigliosamente magico e sensuale, un racconto dove l'Angelo Oscuro per eccellenza questa volta ha la bellezza della Tentazione e occhi del colore del cielo d'inverno, irresistibilmente espressivi, di una malinconia intensa, nostalgia per il Paradiso perduto e innocenza infranta per sempre.....Creatura biblica che si mostra in tutta la sua meravigliosa umanità, straziata e sofferente, come tutti noi nell'eterna dicotomia tra il Bene e il Male.....
    Intensa e originale come sempre, Lady Anna...............
    Ilaria

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  8. veramente bello.. e adesso che ho letto anche "emozioni veneziane" penso di capire quanto abbiamo in comune. ho ritrovato tante sensazioni che credevo di aver dimenticato. quello che mi colpisce di più è l'innocenza che sta sotto alla sensualità delle scene che descrivi. una purezza sfacciata, che ti guarda negli occhi, camminando lentamente dietro una calda trama di pizzo intessuta delle azioni dei personaggi.

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  9. ... e il fatto che quest'innocanza rimanga viva anche in questo ragazzo-diavolo conferma l'idea che ci sia un sentiero di luce che guida la tua scrittura. non è semplice trovare questa luce in tutta la sua trasparenza oggigiorno, pare che molti si concentrino solo sull'oscurità che c'è attorno, dimenticando il cuore delle cose, credendo che sia solo l'abbraccio di oscurità che conta. ma tu mostri anche il centro dell'anima che viene abbracciato..

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  10. Very great!
    "Sbalordito il diavolo rimase, quando comprese quanto osceno fosse il bene."
    citazione che rimanda al Corvo -fumetto e film- e che ribadisce
    il quadro di riferimento in cui si muovono i personaggi... Bene e Male non sono quel che sembrano...
    Claudio Cordella

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  11. senza nulla togliere al Corvo suppongo che la citazione (anzi, le due citazioni) sia(no) da Milton.. Milton che raramente viene chiamato in causa degnamente. Cosa che qui di certo accade.

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  12. Molto brava! La nascita del diavolo da un punto diverso, più sentimentale dove egli prova del rimpianto e cerca consolazione nella passione, dal quale il sentimento stesso non dovrebbe esistere ed essere provato!
    = ..Non più "di Dio".."in Dio"..ma essere.."Dio stesso" me stesso= Bellissima frase che mi ha colpito profondamente. Rispecchia il nostro ego, la nostra prepotente pretesa! Dimenticandoci che il bianco e il nero è parte di Dio! Sì concordo con reiroshu per la luce e la comprensione che hai nell'anima e nei tuoi racconti! :o) Ornitorinco

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