mercoledì 29 febbraio 2012

“Il sangue nero dell’angelo” di Laura Buffa


Punteggio 191/250  (7.6 voto)

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Alzai la spada sulla mia testa. Se la creatura si fosse mossa, l’avrei colpita immediatamente. Non faceva più parte del paradiso ed era mio dovere ucciderlo. “Ora marcirai nel cuore della Terra.”
Lucifero ci aveva tradito. Nonostante fosse stato per secoli mio fratello, non avevo altra scelta che ucciderlo.

- Il compito è andato male, Gerardi, anche stavolta hai fatto del tuo peggio. Hai visto gli errori? Questo compito raggiunge a malapena il tre e mezzo. – Il professor Santini prese il foglio dal tavolo e lo piegò in due. “Bene! Un’altra settimana di punizione per un compito di merda!” Michela se ne stava seduta di fronte al prof con le gambe accavallate e le dita che lisciavano i morbidi capelli corvini. Il professore stava blaterando qualcosa riguardo l’importanza delle presenze durante le sue lezioni, ma lei era troppo concentrata a non incrociare il suo sguardo. – Non posso garantirti la sufficienza quest’anno se non mi dimostri un minimo di interesse. –
Michela cercò di concentrarsi sull’orologio a pendolo sulla della cucina. Era nervosa, aveva lo stomaco chiuso come se ci fossero delle tenaglie. E le dita stavano tremando. Non era mai stata a casa di un professore della sua scuola e per lei era abbastanza strano trovarsi proprio nella cucina di Santini. Da quando quest’ultimo era arrivato nel suo liceo, la sua vita era cambiata. Michela aveva cominciato a saltare le lezioni di matematica e di chimica e a beccarsi punizioni e sgridate dai genitori e docenti. Non poteva vederlo né sfiorargli le mani, era più forte di lei. “Mi sento la nausea … sarà meglio andare … ”
Non sono brava, non mi piace la matematica. Prendo sempre 4, non è una novità, quindi vorrei chiuderla qui e andarmene. Non sto molto bene –, disse, scostando una ciocca nera dagli occhi. Lo sguardo di Santini le fece capire che come minimo avrebbe dovuto sorbirsi un’altra ramanzina, perciò tentò con tutta se stessa di mandare giù la bolla di vomito che cominciava a salirle in gola. “Maledizione!”
- Non sei brava a fare i calcoli, tutti i ragazzi o la maggior parte detestano la mia materia ma non per questo si arrendono. Continuando con le assenze e i 2 non potrai andare agli esami e mi metterai in una posizione difficile con gli altri docenti. – Si alzò e camminò verso di lei. Michela strinse più forte il manico della sedia. “Vattene, per l’amor del cielo!”
- Hai molti sette e otto, non posso rimandarti. Perderesti tutto il lavoro di quattro anni per un’insufficienza. – Le sue parole sembravano distanti.
La ragazza si morse il labbro inferiore con i denti e strofinò le mani sui jeans per il nervosismo. Il professore, però, continuava a starle ad un passo dal viso. E aveva un sorriso soddisfatto sulla faccia. – Ti senti bene? – Michela strabuzzò gli occhi. “Stava sorridendo? O me lo sono immaginato?” – Ehm … sì, sto benissimo. Sento solo un po’ di freddo. – Se si fosse avvicinata, quasi sicuramente avrebbe perso i sensi. C’era una forza misteriosa che la spingeva sul professore, ma al contempo una forza uguale e opposta che la allontanava. “Per quanto possa essere un bell’uomo, non è normale avere simili reazioni!” Perfino quando era andata a letto con Marco non aveva provato niente di simile. L’avevano fatto, si erano coccolati, ma non era successo nulla di più. Santini aveva uno sguardo che lei conosceva bene. Occhi neri e profondi, capelli ricci e tinti d’oro … ogni cosa le era familiare, ma non riusciva ancora a collegare bene il tutto. - Ripasserò il programma, prometto che mi farò aiutare … adesso, prof, devo proprio andare! -
La ragazza dagli occhi azzurri si alzò, ma la mano di Santini la fermò. Si voltò di scatto con gli occhi sbarrati. Quel contatto le fece raggelare le dita. - Perché non ti sei fatta prestare gli appunti dalle tue compagne? – disse il professore, come se non la stesse trattenendo con la forza. La ragazza non riusciva a liberarsi. – Perché non ti sei fatta vedere? -
Michela lo guardò dritto negli occhi neri. – Professore, mi lasci andare … il polso … – Cercò di far sgusciare il polso magro dalla presa del prof, ma fu tutto inutile. Aprì la bocca per urlare, ma la sensazione di gelo che si stava diffondendo nelle sue ossa le impediva di reggersi in piedi.
- Siediti. – La voce dell’uomo era cambiata. Sentì allentare la presa e spinse via subito la mano di Santini. - Ho detto che deve lasciarmi! – Michela cadde all’indietro, sopra il suo zaino Eastpak viola. Non era la prima volta che toccava quelle mani. Santini aveva delle mani freddissime. Lo sono sempre state. “Devo andarmene!” si volse di scatto verso il soggiorno e in un batter d’occhio le porte a scorrimento si chiusero. “Com’è possibile?!”
- Non puoi andartene, Mikael. Devi darmi ciò che voglio. –
- Che cazzo sta dicendo? Guardi che se non mi lascia andare chiamo la polizia! – prese il cellulare che era in tasca e iniziò a digitare il numero. Dopo pochi secondi, lo schermo del cellulare si oscurò. “La batteria era carica! Cellulare di merda!” Lanciò via il suo Samsung in preda al panico.
Cosa vuole?! La licenzieranno appena racconterò tutto e se si azzarda solo a toccarmi … ! -
- So cosa sei. –
- Non so di cosa … io non ho niente né ho fatto niente di male. Se è per quel compito, recupererò … ma adesso mi lasci andare! –
- Smettila di recitare, sono stanco di stare in mezzo ai mortali per poterti tenere sotto controllo. –
Mortali?” ripeté nella su mente. - Mi sta prendendo per il culo? –
Santini abbozzò un sorriso di sbieco. – Allora ti farò sputare tutta la verità. –
La finestra si frantumò nel giro di pochi secondi e Michela si accucciò di scatto, con le braccia sopra la testa. Il vetro le sfiorò il dorso delle mani e bastò per lasciarle qualche graffio insanguinato. Poi il nulla.

Si svegliò con il volto schiacciato sulla pelle dei sedili. “Ma …?!” Michela si alzò a sedere di scatto, sentendo la testa appesantita a causa del sonno. O forse le avevano dato una bastonata? In quell’istante si affacciò l’uomo che stava guidando la vettura. Michela gli vide appena il profilo del volto. Non era il professore Santini. - Stai bene? –
- Chi sei? Sei complice di quello psicotico?! Cazzo, il preside dovrà ascoltarmi stavolta … lo faccio licenziare quel professore del cavolo! –
Il tizio sorrise e tornò a guardare davanti a sé. – Voglio scendere! – disse Michela, afferrando la maniglia della portiera. Non si apriva. “Merda!”
- Calmati, Mikael. – Anche il professor Santini l’aveva chiamata così.
- Mi chiamo Michela. Con la “a” finale. Ma chi diavolo sei? Lasciami andare adesso! Cazzo, non si apre! Sono bloccata qui! –
- Ti chiami Mikael da milioni di anni, non fare la pignola - , le rispose lo sconosciuto. – E non essere scorbutica, come al tuo solito. -
Michela alzò un sopracciglio. “Okay, prima il prof maniaco e poi un cretino fuori di testa che è pure uno stalker … direi che oggi è la mia giornata fortunata!” ironizzò. - Se vuoi evitare problemi con la polizia, fammi scendere. Ora! – ordinò, sperando di essere stata convincente.
- Davvero non ricordi chi sono? – l’uomo sembrava leggermente sorpreso. – Non preoccuparti, lo ricorderai presto. – Lo sconosciuto schiacciò l’acceleratore e girò a destra, lasciando la scia sull’asfalto. Michela sbatté la testa sul finestrino.
- Fammi scendere! – gridò, cercando con le dita la cintura. “Questo mi ammazza … vuole schiantarsi!” allacciò la cintura di sicurezza. – Vai piano! –
L’uomo rimase in silenzio. La pioggia picchiettava sui vetri e le impediva di osservare il paesaggio. Non sapeva dove si trovava. “Sono nella merda!” – Fammi scendere, pezzo di imbecille! -
- Rilassati, non ti farò niente -, disse il tizio e sterzò a sinistra. Michela tirò un sospiro di sollievo quando lo sconosciuto spense la macchina. “Grazie al cielo!” L’uomo le aprì lo sportello e la fece scendere, mentre la ragazza si tirava su il cappuccio della felpa. Erano in un grande parcheggio e pioveva a dirotto. – Ma che posto è? –
- Seguimi e non fare domande. Se torni indietro, sta certa che finirai ammazzata. Lui ha scoperto chi sei. –
- Lui chi? Il professore di matematica?! Tu vuoi solo terrorizzarmi. Chi mi assicura che tu non sia un maniaco sessuale? –
- Sei libera di credermi o meno -, le rispose freddamente. – Mi chiamo Rafael. Adesso che mi conosci, puoi startene zitta. –

Nonostante la pioggia, c’erano molte auto e bus parcheggiati sul Monte Sant’Angelo. Michela non si era mai mossa da casa, perché sua madre era troppo impegnata a lavorare e a mantenere i suoi due figli senza un marito. L’ultima gita che aveva fatto risaliva ai tempi delle scuole medie, in Sicilia. E adesso eccola lì, in gita in compagnia di un perfetto sconosciuto. Tanto per dire “gita”.
Si era inzuppata d’acqua nel giro di pochi secondi, il tempo di scendere dall’auto e correre verso il riparo più vicino, sotto gli alberi che si trovavano ai margini delle strade. Rafael era più avanti, Michela trovò uno spazio sotto i rami, anche se ormai era bagnata fradicia. Gettò uno sguardo a Rafael. – Perché mi hai portata qui? – disse, prendendo fiato. Non faceva ginnastica dai tempi delle scuole elementari.
Rafael si sistemò la giacca in pelle, a pochi metri lontano da lei. - Lo capirai da sola. Gli altri ci aspettano, andiamo. –
Camminarono lungo la strada, mentre la pioggia si faceva più lieve da sopportare. C’erano tanti negozietti lungo la via che vendevano formaggi, prodotti tipici pugliesi e c’erano anche bar e bancarelle piene zeppe di statuine. Quasi tutte raffiguravano l’angelo di San Michele con in mano una spada e ai piedi un serpente.
Proseguirono la salita fino ad arrivare in cima, dove si riusciva a intravedere la cuspide di una strana chiesa. Michela tentò di non inciampare con le scarpe da ginnastica e alzò gli occhi per osservare meglio il santuario dell’arcangelo, ormai sempre più vicino. “Dev’essere quello” pensò. La facciata in marmo della chiesa era formata da due entrate ed era sormontata da due lastre di pietra. In alto c’era una statua dell’arcangelo Michele, l’angelo del Giudizio di Dio, con una spada alzata e una creatura orribile fra i piedi. La creatura rappresentava il diavolo. Sopra le porte vi erano due scritte in latino, di cui una diceva: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è la casa di Dio, questa è la porta del Cielo.”
Michela non aveva mai capito come funzionasse, ma aveva l’abilità di leggere il latino come se fosse italiano. Riusciva a tradurre le versioni che la prof Molinari consegnava ai compiti in classe con una certa abilità e non sbagliava quasi mai. - Ce ne hai messo di tempo – Rafael era vicino alla seconda porta in bronzo con le braccia incrociate. – Ti sei messo a correre e mi hai lasciata da sola! –
- Non è difficile trovare il Santuario … e in ogni caso sapevo che l’avresti trovato. – Il tizio strano si guardò alle spalle, come se aspettasse qualcuno. “Chi mi dice che non abbia preparato una trappola? E poi cos’è questa storia? Dovrei chiedere aiuto a un turista o magari alla signorina che c’è là … devo allontanarmi da questo tizio.” Michela fece finta di abbassarsi per ripiegare i jeans.
Ancor prima di alzarsi, sentì il respiro caldo di Rafael vicino l’orecchio sinistro. – Non provare a chiedere aiuto. – Michela imprecò sottovoce, poi annuì lievemente e a denti stretti si lasciò guidare da lui. “Questo qui non mi lascerà andare … e poi non ho il cellulare e non conosco nessuno, come faccio a tornare a casa?! E poi, guarda in che condizioni sono …” spostò le ciocche bagnate dietro le orecchie. Entrarono nel Santuario e scesero diversi gradini, scavati nella pietra. Notò che vi erano diversi cartelli che recitavano la solita frase, “siete pregati di non fotografare” in tutte le lingue.
- Vieni – Rafael si infilò in un passaggio nascosto dietro una statua dell’arcangelo Michele. – Ma cosa … cosa fai? – sussurrò la ragazza, guardandosi intorno per vedere se ci fossero delle telecamere. Senza molta scelta, Michela lo seguì.

- Non mi aspettavo l’arrivo di Rafael, evidentemente non siamo gli unici ad averla trovata. –
Lucifero uscì dal bagno con un asciugamano attorno alla vita. Azrael sorrise, sul suo letto. – Non sono scappati chissà dove, lo sai. Adesso che possiamo sentire la loro presenza sarà un gioco da ragazzi trovarli. –
- Mai sottovalutare il nemico, soprattutto se si tratta di Rafael e Gabriel. –
- Gabriel? Anche lui è qui? – disse l’angelo dai capelli biondi come la paglia. Aveva un viso tondo e un seno prospero, i fianchi abbondanti e le gambe né troppo magre né troppo grasse. Lucifero si stiracchiò le braccia e si passò una mano fra i capelli. – Ti donava l’aria da professore gentile, sai? – Azrael giocava con le lenzuola.
- Ormai che l’ho trovata, posso licenziarmi … deve essere mia. –
- Rivuoi proprio la tua spada, vero? – disse la donna.
Lucifero si sedette vicino ad Azrael e le accarezzò lentamente la guancia, poi le dita scesero lungo i fianchi e la baciò sulla bocca. – Magari se tu mi aiutassi potrei riavere la mia spada prima del tempo. – Lucifero sorrise. – Sai dove si trovano? -
Azrael si leccò le labbra, sorridendo. – Certo che lo so. – La donna si sporse in avanti, a un centimetro dalle labbra dell’angelo ripudiato da Dio. – Puoi contare su di me. -
- L’anima di Dio è imperscrutabile, il suo volere è inaspettato. Chi mai avrebbe creduto di trovarsi davanti Mikael? Dopo diciotto anni di ricerca avevamo perso ogni speranza – disse il prete che fino a un attimo fa si trovava nella cappella sotterranea, a parlare della leggenda dell’Arcangelo Michele.
Non era come gli altri preti, non indossava l’abito nero ma una camicia a quadri viola e rosa abbinata ad un paio di jeans. Portava i lunghi capelli grigi e scarmigliati in una coda di cavallo e una barbetta folta che nascondeva metà viso. Assieme al vecchio c’erano altri due uomini: un signore di circa quarant’anni con i capelli scuri e un completo sofisticato addosso e un ragazzino che poteva avere sì e no undici anni con i capelli rossastri e gli occhi verdi.
- Finalmente! Come mai ci hai messo tanto? – il ragazzino si grattò la schiena con un bastone che aveva preso chissà dove.
- Non sono riuscito a fare prima. E smettila di grattarti il braccio come un cane! – rispose Rafael. Michela era confusa, infreddolita e furiosa per aver saltato la cena e per essere stata rapita. Il ragazzino le lanciò uno sguardo incuriosito e lanciò il bastone al muro, che ricadde sul pavimento. – In questa vita, allora, sei una donna. –
- Cosa? – la ragazza si sentiva in imbarazzo perché tutti la stavano fissando. Forse la felpa bagnata aderiva troppo al seno?
- Gabriel, smettila di spaventarla a morte. – Era il primo intervento dell’uomo in giacca e cravatta, che prima di allora era rimasto a fissare delle carte sul muro. Era tutto pieno di carte, mappe e perfino tomi ingialliti da chissà quanti anni. – Non ricorda niente, non ha sviluppato ancora la memoria dall’ultima battaglia a San Francisco. –
- E come farà a ricordarsi dov’è la spada? – disse Gabriel, grattandosi la testa rossiccia. A Michela saliva il sangue al cervello nel vederlo grattarsi in continuazione. Aveva pure delle grosse bolle rosse sulle braccia. “Ma è malato? Ha il morbillo?” pensò, facendo una smorfia disgustata e distogliendo lo sguardo. Preferiva guardare il muro.
- Un momento, un momento … sentite, apprezzo molto tutta questa sceneggiata, dico davvero. Rapite i clienti e li portate qui per farvi pubblicità? Oh, cavolo, che geni! Ora, però, VOGLIO tornare a casa mia. – Michela mise le mani sui fianchi, un gesto che faceva sempre sua madre quando la rimproverava. – Non ho intenzione di beccarmi altre due settimane di punizione per questa cazzata! Senza contare che sono già nella merd … -
- Ehi! Non ti facevo così sboccata! – la interruppe il prete. - Ricordati che siamo in un luogo sacro. Il tuo Santuario. –
- Adesso perché mi chiamo Michela come l’Arcangelo, questo Santuario è mio? –
- Il tuo sarcasmo non è divertente. Tu sei Mikael, rinato in una nuova forma umana e con dei nuovi poteri. – L’uomo col completo sembrava serio dopo aver detto una cosa tanto assurda. E Michela per poco non si mise a ridergli in faccia. – Devi aver letto troppi libri su Harry Potter e su Frodo e quella roba lì, bello. Siamo nel mondo reale, non nella Terra di Mezzo – disse la ragazza, strizzando le maniche della felpa. I capelli le stavano appiccicati alla fronte come sanguisughe e non riusciva a scollarseli neanche dal collo.
Gabriel, quel ragazzino spelacchiato e con le pulci invisibili, le si avvicinò e schioccò le dita con un sorrisetto. In quell’attimo, sotto i suoi occhi, l’acqua che impregnava la felpa si sollevò letteralmente in aria e la asciugò del tutto. Lo stesso successe con i jeans e con i suoi capelli. L’acqua si era raggruppata a mezz’aria e si era trasformata in vapore.
Michela toccò i capelli, asciutti. Era a bocca aperta. – Come caz … ? –
- Perché sono Gabriel e ho il potere di controllare l’acqua e l’aria. – Il ragazzino, tutto impettito, schioccò di nuovo le dita e l’acqua gli fluì sulle dita sotto gli occhi meravigliati di Michela. Avrebbe tanto desiderato sfiorargli le dita, ma aveva paura che potesse farsi male. Cosa poteva saperne lei di magia?
- Tutti noi abbiamo dei poteri – disse l’uomo col completo. Nel giro di un attimo, anche l’elegantone alzò un braccio con nonchalance e creò un vortice nero. “Fumo? Vapore?” pensò Michela, facendo un passo indietro. La nube nera che andava a condensarsi sopra la testa del tizio assunse la forma di un falco e poi, come d’incanto, svanì.
- Come hai fatto? Cos’era? –
- Controllo le nubi e il fumo, sono un seguace di Gabriel. Adesso. –
Michela ripensò alla gerarchia degli angeli e, se i conti non mentivano, gli arcangeli erano tre. – Gabriel, Mikael, Rafael … e? –
- Io sono Abbadon. L’angelo messaggero dell’apocalisse – spiegò l’uomo dagli occhi azzurri, sbuffando. – Dannazione, non riesco a trovare la penna … oh, eccola! Dunque … -
- No, no, no, aspetta! – Michela agitò le braccia davanti a sé. – Apocalisse? Cioè, ho sentito bene? APOCALISSE? –
- Rilassati – la voce di Rafael, per quanto si sforzasse di trovarlo simpatico, le appariva sempre scocciata e nervosa, - Abbadon era un seguace di Lucifero. E’ passato all’esercito celeste solo da un millennio. E’ okay. –
- Ah, certo, è okay perché fa parte dei buoni SOLO da un millennio. Che vuoi che sia un millennio? –
- Smettila di essere sarcastico, Mikael! – gli disse Gabriel, mentre si sedeva a gambe incrociate sul pavimento. – Per gli umani un millennio è lungo, ma per noi equivale a mesi. Siamo eterni, quando ci uccidono o finiamo il ciclo di vita cambiamo forma. Poi recuperiamo la memoria e ricominciamo la ricerca. –
- Ricerca? Ah, certo! Pensate che io vi creda? –
- Dico sul serio – il ragazzino cominciò nuovamente a grattarsi il mento, - fino a quando Lucifero rimane in libertà né la Terra né l’Eden sono al sicuro. Lucifero vuole recuperare la sua spada, la spada del drago per poter aprire il varco dell’inferno ed entrare nell’Eden per spodestare Dio. Se non lo troviamo e lo intrappoliamo nell’Inferno, dubito fortemente che questa guerra finirà. –
- E a cosa vi servo? –
- Sei tu che gli hai rubato la spada. - Michela rimase con lo sguardo perso nel vuoto. Lei non riuscirebbe a rubare una caramella da un negozio senza farsi beccare dalle telecamere, figuriamoci rubare una spada ad un demone! – E’ assurdo, non so dov’è. –
- Devi solo ricordarlo. E io so come. – Il prete in jeans le si avvicinò con un sorrisetto amichevole e le porse una boccetta azzurrina. – Cos’è? –

- Non potrai vivere senza di me. Io sono te! –
- Stai delirando. – Lucifero continuava a supplicarlo, come se si fosse pentito. Ma in realtà non era pentito. Desiderava solo avere l’arcangelo dalla sua parte. – Una volta eri come noi, adesso sei solo un demone in cerca di potere. Riceverai ciò che meriti. –
Erano vicini al Picco della Morte, ai confini del Mondo Reale e del Mondo Celestiale, Mikael era disarmato e Lucifero portava con sé la Spada del Dragone, conosciuta anche come lingua di serpente. – Mi dispiace doverti uccidere per raggiungere il mio obiettivo, fratello.-
- Non sono più tuo fratello. –
Lucifero abbozzò un riso amaro. – Cambierai idea quando sarò diventato il Dio di un Nuovo Mondo. – Mikael vide il fuoco della lama avvicinarsi e la sua luce intensificarsi. Quando gli piombò addosso, Mikael afferrò entrambe le mani del demone, attaccate all’elsa della spada, e disse: “Rendiamo grazie a Dio.”
Sprigionò una luce tale da accecare l’avversario e da rendere innocua l’arma del Diavolo. – Non puoi farmi questo! Non puoi! – Lucifero perse le sue forme angeliche e si tramutò in un rettile informe, munito di zanne e di squame rosse come il fuoco e ardenti come il sole stesso. Le ali erano diventate simili a quelle dei pipistrelli e gli occhi erano neri, come il male che lo aveva mutato dentro e fuori.
Mikael afferrò la spada del dragone, ferendosi le mani. “Questa lama non può essere impugnata a lungo da un essere angelico, rischierebbe di morire.” Sentì aumentare il dolore, ma non si allontanò né gettò la spada a terra. Né la distrusse.
Lucifero era in preda ad una crisi. – Maledetto! Maledetto! Maledetto! Io vi maledico! Maledico VOI! – Si accasciò sulle rocce, avvilito e umiliato, e Mikael lo raggiunse in allerta. Gli sputò sul collo e, impugnando l’elsa con entrambe le mani, disse: - Ora le tue preghiere non verranno esaudite. Mai più. –
Lucifero, delirante, rise. – Questo lo credi tu, fratello. – La coda del mostro aveva un pungiglione e, nel momento in cui Mikael colpì il cuore della creatura, Lucifero gli penetrò la gabbia toracica con il suo veleno.
- Adesso che abbiamo lo stesso sangue e lo stesso veleno, saremo fratelli. In eterno. –

Una scossa sismica fece muovere il tavolino. Michela aprì gli occhi. – Cos’è accaduto? Dove sono? –
- Merda … Un terremoto! – Rafael era alla sua destra. La stavano osservando tutti.
- Ma, insomma, cosa devo fare per farvi capire che questo è un luogo sacro? – questa era la voce del prete. Michela si mise a sedere sul pavimento gelido e si stiracchiò le braccia. “L’ultima cosa che ho fatto è stato bere quell’elisir … e poi? Quelle scene, Lucifero … era tutto vero?”
Istintivamente si portò una mano al cuore e scese fino allo sterno. “Il pungiglione mi ha trapassato il torace” pensò lei, riportando in mente l’accaduto. “Poi ho la sciato la spada e la spada si è unita al mio corpo. E’ diventata luce.” Adesso ricordava ogni cosa. Anche il dettaglio più banale.
Ecco perché Santini le faceva venire il voltastomaco e, al tempo stesso, la attraeva. Avevano lo stesso veleno in corpo. Erano due facce di una stessa medaglia. – Dobbiamo andarcene, ora! – Abbadon le afferrò il polso, ma Michela era ancora troppo stordita per camminare. Si tenne la testa e, nel giro di pochi secondi, si ritrovò fra le braccia dell’elegantone.
- Presto! –
- Ma che hai? – domandò Gabriel, mentre cercava con gli occhi qualcosa con cui grattarsi. – E’ soltanto un terremoto, fra un po’ si placherà. –
- Tu non hai ancora sviluppato la capacità di avvertire le presenze, ma ti posso assicurare che non è un normale terremoto – disse Abbadon, terrorizzando la ragazza. “Che succeda qualcosa come nei fumetti della Marvel?” pensò, immersa nei suoi pensieri. “Tutto questo ha dell’incredibile …”
- Ha ragione, - disse Rafael, guardandosi intorno. – C’è qualcuno. –
Michela, come gli altri, cercò di calmarsi, ma nell’aria si respirava solo tensione. – Devo andare in chiesa. Devo fare uscire tutti dal Santuario! – Il prete corse verso l’entrata del passaggio, che era anche l’unica uscita del passaggio segreto. – E noi che facciamo? –
- Forse non dovremmo combattere con te ridotta in questo stato, - Rafael si avvicinò alla porta. – Gabriel e Abbadon, andate a rifugiarvi con Mikael. Prendete la mia macchina e poi raggiungete Foggia. Aspettate il mio ritorno. – Lanciò le chiavi a Gabriel, il quale mancò la presa e usò i suoi poteri per recuperare il mazzo da terra. – Ne sei sicuro? – domandò con un sopracciglio alzato. – Sicuro di non volere qualcun altro? –
- Posso farcela anche da solo. –
- Io non credo proprio. –
Si udì una voce femminile rimbombare fra le pareti e, il secondo dopo, Rafael fu scaraventato sul muro come un sacco di patate. – Rafael! – il ragazzino coi capelli rossastri rimase di stucco, mentre Abbadon restò freddo e immobile. Michela non disse nulla.
La donna che aveva attaccato comparve l’istante dopo: non era alta, aveva un fisico non troppo magro né troppo grasso e portava lunghi capelli ricci e biondi. Sul viso c’era stampato un sorriso soddisfatto, come quello che indossava un bambino subito dopo aver commesso una disfatta al genitore. – Bene, bene, bene … ciao, fratellino. –
- Azrael, – rispose l’uomo in giacca che la teneva fra le braccia. Michela poté avvertire la stretta di Abbadon irrigidirsi. – Che ci fai qui? –
- Sempre che fate le stesse domande … tu che dici? –
Michela non ebbe il tempo di chiudere gli occhi. La donna era di fronte a lei. Li colpì con un calcio e la ragazza piombò a terra. L’attimo dopo il piede del demone era sopra il suo torace. – Bella ragazzina, quindi sei tu Mikael? E’ la terza volta che rinasci nelle vesti di una donna … ti preferivo qualche secolo fa, quando avevi preso le sembianze di Bruto. – Schiacciò il tacco dello stivale sul seno e Michela urlò. Il dolore al capezzolo sinistro era atroce.
Prima che il tacco le entrasse ancora di più nel petto, cercò di afferrare la caviglia della stronza e di rivoltarla per terra, ma Gabriel la anticipò. Una folata di vento e grandine trasportò Azrael e la fece schiantare al muro. Michela riprese fiato e si tenne la mano al petto, che colava sangue.
Porca miseria!” respirò con affanno, ma almeno non aveva perso una tetta per colpa di un demone del cavolo. Rafael era già in piedi, non se n’era accorta. – Va tutto bene? – Abbadon le si avvicinò. Non aveva più la cravatta e la giacca era piena di polvere e aveva un grosso strappo sul davanti. – Sì … - rispose, continuando a massaggiarsi il seno. La maglietta si era macchiata di sangue e sarebbe stato difficile spiegare a sua madre come s’era procurata questa ferita.
- Adesso il gioco lo conduco io – Rafael alzò un dito verso la donna, mezzo stordita e con la schiena poggiata al muro. – Ma cosa … ? – Dal muro spuntarono sei radici d’albero grosse quanto tubi di scarico che immobilizzarono il demone per il collo, le braccia, le gambe e per la vita.
Cazzo, liberami! – sbraitò la donna, ormai in trappola. – Brutto figlio di … -
- E’ inutile che ti agiti, posso stringere ancora di più la presa – disse Rafael, mettendo in avanti la mano aperta. – Così ti va bene? – Cominciò a ripiegare le dita sul palmo. Azrael urlò e imprecò. – E’ inutile che cercate di mettermi alle strette … non vi dirò mai dove si trova Lucifero. Sappiate che lui recupererà la sua spada! –
- Lasciala – disse Michela. Tutti si voltarono a guardarla mentre avanzava con sguardo furioso. Non smetteva di fissare quella codarda. – Voglio spremerla come un limone. –
La donna dai riccioli biondicci rise. – Che prepotente … lo sei da sempre. –
- Vuoi la spada, no? – chiese la ragazza, sarcastica. Non riusciva a raddrizzarsi completamente, perché la ferita le doleva. Ripensò alle immagini che aveva visto in sogno e al volto di Lucifero. Tese le mani. – Io sono colei che esercita il Giudizio di Dio sulla Terra … sono Mikael! –
Rendiamo Grazie al Giudizio di Dio. Avvertì un calore benefico invaderle il petto ed espandersi fino alla radice dei capelli e fino alla punta dei piedi. Poi, quella luce, uscì fuori dal suo corpo e divenne un serpente. Un serpente di luce, così splendente da accecare gli occhi di chi era vicino a Michela. Dalla forma irreale nacque la forma della spada, del metallo puro e dell’elsa di squame. – Ecco la tua spada. – Azrael aveva gli occhi aperti, ma non riusciva a vedere niente se no una forte luce. Perché solo chi credeva in Dio poteva salvarsi dalla vendetta e dalle fiamme dell’arma del Diavolo. – Adesso avrai ciò che meriti! –
Quando la lama trafisse il cuore del demone, il sangue nero macchiò il metallo e la roccia. “Il sangue è nero … proprio come il mio. Lucifero deve averla corrotta ed ingannata. Come ha fatto con me.” Michela rimase con le dita incastonate sull’elsa, con la grinta che le trasudava da ogni poro del corpo e con lo sguardo deciso che osservava morire una creatura. Una creatura corrotta. Michela sentì l’urlo di Azrael e il sangue nelle vene divenne ghiaccio e, quando la spada le risucchiò l’ultimo briciolo di energia pura, cadde a terra con un tonfo.

- Che cosa mi hai fatto? – Mikael cercò di rimarginare la ferita con i suoi poteri, ma il suo sangue era caldo e gli bruciava la pelle. – Cosa mi hai fatto?! –
- Eccoti, - respirò dolente Lucifero, mentre la terra bruciata lo inghiottiva per trascinarlo nel Mondo Reale. Il mondo subdolo degli umani. – Eccoti qui, disperato e umiliato. L’incorrotto, alla fine, è diventato fratello del Diavolo. Mio fratello! – Rise.
Mikael avrebbe voluto piangere, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. Osservò il corpo di Lucifero sprofondare nell’ignoto. Per quanto Mikael lo detestasse, ormai i destini di entrambi erano legati e solo uno dei due sarebbe sopravvissuto perché avevano lo stesso sangue.
Sangue nero.

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  2. Sono emozionata di leggere uno dei miei racconti sul web (e un po' imbarazzata)! Grazie per i voti. ^_^

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    1. Ma no, perchè? Io personalmente nel vedere i miei lavori pubblicati nel web, mi da un senso di esaltazione. Alla fine, come tutti, cerchiamo di farci conoscere per quello che sappiamo fare, o sbaglio? ;-)

      In bocca al lupo comunque.

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  3. Bravissima, continua così,sono sicura che farai molta strada!!!!!!!!!
    Buona Fortuna!!!

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  4. Grazie dei complimenti, sei troppo gentile!!! ^_^

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